Quanta casualità! Ma allora che senso ha progettare?

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Oriana, B.Liver, inizia a proporci una carrellata di citazioni che guardano al futuro, alla progettazione. Di queste, una sola è sua: «Gioca. Se riesci a non smettere, la paura non esiste». L'ha scritta su un regionale Torino - Novara, eppure è una delle competenze più importanti che ha imparato quando si parla di progetti.

Di Oriana Gullone, B.Liver

Oriana, B.Liver, inizia a proporci una carrellata di citazioni che guardano al futuro, alla progettazione. Di queste, una sola è sua: «Gioca. Se riesci a non smettere, la paura non esiste». L'ha scritta su un regionale Torino - Novara, eppure è una delle competenze più importanti che ha imparato quando si parla di progetti. 

«La differenza tra un sogno e un progetto è una data»

No, non è mia. È di Walt Disney. Ci sono inciampata durante un corso che mirava proprio a darci gli strumenti per trasformare in realtà i sogni sepolti in fondo al cassetto.

Più o meno sfortunati eventi mi hanno insegnato che, anche con i più precisi strumenti, anche con la più perfetta pianificazione, quella data che fa la differenza potrebbe non essere rispettata. Perché una buona percentuale del successo di un progetto è fatta di casualità. È una lezione della malattia? Non lo so.

La casualità insegna che non possiamo controllare tutto, neanche i nostri progetti

Anche prima della diagnosi, vivere in una zona altamente sismica me l’ha insegnato, affrontare la prima, di parecchie, alluvioni a undici anni, iniziava a seminarlo nella testa. Non posso controllare tutto. Non tutto quello che sogno incontrerà le giuste condizioni per realizzarsi. Anche il migliore dei piani potrà subire ritardi, deviazioni, fallimenti. E quella data dovrò correggerla, a volte cancellarla.

Ma quindi che senso ha fare progetti? E quale senso può continuare ad avere quando, nel momento in cui ne hai di più, ti dicono che hai una malattia che non guarisce?

«La vita è così grande

Che quando sarai sul punto di morire

Pianterai un ulivo

Convinto ancora di vederlo fiorire».

Sogna ragazzo sogna

Nemmeno questa è mia, ma di Roberto Vecchioni, Sogna ragazzo sogna. L’ho imparata a memoria a 14 anni, faceva parte di uno spettacolo della compagnia di cui facevo parte. In quel momento il tempo sembrava infinito, i progetti erano a lunghissimo termine. Avrei fatto l’attrice e girato il mondo senza sosta. Avevo due alluvioni e diversi terremoti alle spalle, ed era un momento storico in cui ancora i bulli erano «solo bulli». La compagnia teatrale, il copione da imparare, le prove ogni settimana erano il progetto che mi teneva a galla, il posto dove mi sentivo al sicuro, la cosa per la quale tenevo duro perché dovevo portarla a termine, qualunque cosa avesse provato a buttarmi giù.

«Credo in Dio a causa degli incontri. Tutte le spiegazioni sono inutili, io credo agli incontri».

No, non mia. Trovata quando il progetto di Cicatrici stava nascendo, durante i primi incontri tra Il Bullone e il PiuLab, laboratorio di stampa 3D del Politecnico di Milano.

È di un filosofo cattolico francese, Jean Guitton. In quella percentuale di successo che non dipende da me, tanta responsabilità è degli incontri con chi condivide la tua visione, porta strumenti e competenze che a te mancano, dettagli a cui non avevi pensato. Quanto è bello quando un progetto che parte in solitaria, poi diventa di squadra e prende forme completamente diverse?

Squadra e divertimento sono i fattori fondamentali per giocare senza paura

«Gioca. Se riesci a non smettere, la paura non esiste».

Questa è mia. Scritta una mattina all’alba, sul regionale Torino-Novara, dopo aver partecipato a una maratona di 12 ore di improvvisazione teatrale. Che fa un po’ ridere, parlando di progetti. Eppure, è tra le competenze più preziose che ho assorbito, soprattutto nel fare progetti. Improvvisare significa non temere gli imprevisti, il tuo cervello crea all’istante sfilze di piani alternativi, e magari se riesci a portare a termine il progetto, è proprio perché sei riuscito a improvvisare, a non bloccarti, a giocare senza paura. I fattori fondamentali sono squadra e divertimento. Chi è convinto che «se vuoi, puoi», non è cosciente di quanta fortuna lo ha portato dov’è. Da soli, senza dubbi e prendendosi troppo sul serio, non si arriva da nessuna parte.

Quindi, perché continuare a progettare anche con una malattia cronica, o col tempo contato da un tumore, quando il mondo fa di tutto per farti sentire al posto sbagliato? Non lo so. Qualcuno la chiama voglia di vivere.

“In quella percentuale di successo che non dipende da me, tanta responsabilità è degli incontri con chi condivide la tua visione, porta strumenti e competenze che a te mancano, dettagli a cui non avevi pensato. Quanto è bello quando un progetto che parte in solitaria, poi diventa di squadra e prende forme completamente diverse?”

– Oriana Gullone

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