Pensieri sconnessi: se le cose non vanno cerchiamo di cambiarle

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Bill riflette su cosa potrebbe significativamente rivoluzionare la società: non basta vestirsi o truccarsi in un certo modo, non serve nemmeno essere ribelli punendo gli altri e se stessi. La chiave è l'analisi personale delle nostre azioni guardandoci dall'esterno, senza pregiudizi.
ricerca della serenità doriano solinas
"Ricerca della serenità", illustrazione di Doriano Solinas.

di Bill Niada

Molto spesso sento i ragazzi che si lamentano che sono «bullati», emarginati, disprezzati.

Cambiamo noi stessi, senza pretendere che il mondo fuori possa fare lo stesso

È una cosa brutta e non dovrebbe accadere. Ma quanto di questo disprezzo ce lo «cerchiamo» con il nostro modo di essere? È vero che ci sono situazioni in cui, a prescindere dai nostri atteggiamenti, siamo aggrediti e maltrattati ingiustamente, ma spesso tutto ha una causa e dovremmo anche essere in grado di osservarci dal di fuori e valutarci, prima di giudicare solo il comportamento degli altri nei nostri confronti. Anche se difficile, ritengo che sia più facile cambiare noi stessi che pretendere che il mondo intorno a noi cambi.

Il bisogno di fare chiasso

A volte, inconsciamente, per ottenere attenzioni, facciamo l’opposto di quello che andrebbe fatto. Siamo quindi noi, inconsapevolmente, che induciamo gli altri a disprezzarci. Non riusciamo ad andare d’accordo con loro, a suscitare il loro interesse, ci sentiamo ignorati? Allora li puniamopunendoci. Vogliamo dare fastidio, creare problemi, fare chiasso! Fare i ribelli e i rivoluzionari, ma senza combinare nulla o capire nemmeno cosa vorremmo rivoluzionare, se non il giudizio degli altri verso di noi. Lo facciamo con azioni, atteggiamenti, abbigliamento, «trucco e parrucco», tutto ciò che può gridare la nostra sfida o la nostra aggressività (attiva o passiva).

Facendo però il contrario di quello che avrebbe buonsenso fare!

Così puniamo la società: diventando ribelli verso gli altri e noi stessi

Così puniamo la società andandole contro, combattendo i suoi stereotipi e i suoi sistemi di valutazione. Diventiamo brutti, ci comportiamo male, ci facciamo del male o facciamo del male. Anche questo è chiedere attenzioni, ma in questo modo ci complichiamo la vita e la rendiamo impossibile agli altri.

Io non penso che la società sia giusta, ma penso che per cambiarla ci vogliano i sistemi corretti.

Decoro, educazione, gentilezza, rispetto… sono le condizioni minime che ci mettono in relazione con gli altri, permettendoci di avere delle relazioni. Perché partire in salita, quando è già tutto così faticoso, soprattutto da ragazzi? Perché metterci degli ostacoli, quando già la vita ne è piena?

Proviamo a rendere la vita più facile

Cerchiamo di renderci la vita più facile e perché questo accada, dobbiamo andare d’accordo con chi ci sta intorno. Presentandoci nel migliore dei modi, ben vestiti, puliti, sorridenti, sobri non potrà arrecarci danni a un colloquio di lavoro o a un primo appuntamento con una possibile fidanzata; viceversa, arrivare in ritardo, sporchi, maldisposti, non ci proietterà di certo in cima alla lista delle preferenze!

È vero, magari con il nostro modo di essere vogliamo dire qualcosa, ma spesso quel qualcosa non interessa agli altri. Anzi!

Dobbiamo pensare a cosa ci conviene, cosa desideriamo davvero: dire che non siamo d’accordo con l’azienda o trovarvi lavoro? Potremo prima trovare lavoro e poi, se non siamo d’accordo con la società, cercare armi e strumenti opportuni per modificarla. La vista deve essere lunga a prescindere dai nostri stati d’animo. Nulla osta a una persona gentile e sorridente di compiere una rivoluzione totale del sistema. Gandhi docet!

Invece noi siamo orgogliosi di dimostrare che non ci interessa quello che gli altri pensano di noi, che noi siamo così e basta, che se mi vuoi mi prendi per quello che sono.. Ma chi ti prende sporco e antipatico? Probabilmente uno più sporco e antipatico di te.

La difficoltà di spiegarlo a ragazzi e adulti, un confronto pieno di antagonismi

Però è difficile spiegare queste cose a un ragazzo (ma anche a un adulto). Spesso i ruoli tra giovani e adulti sono antagonisti. Vengono vissuti male; il ragazzo parla inglese e l’adulto cinese. Oppure non si sentono e allora entrambi urlano, aggredendosi e sprecando energie preziose. O, peggio, è l’adulto stesso a insegnare a ribellarsi alla società, perché magari frustrato e arrabbiato.

Dovrebbero esserci dei modelli, degli esempi semplici e rappresentativi che spiegano che certi comportamenti portano a certi risultati e altri ad altri. Senza imporre nulla, solo dimostrandolo e poi lasciando libero il ragazzo di riflettere, di fare le sue prove e arrivare a prendere delle decisioni in base alle azioni fatte e a risultati ottenuti.

Perché molto, se non tutto, dipende da come comunichiamo, che lingua parliamo, se ci incontriamo su un ring o in un salotto, al freddo o al calduccio, imbracciando le armi o bevendo il tè…

Dobbiamo imparare a guardarci dal di fuori e valutare i risultati del nostro modo di essere e delle nostre azioni.

– Bill Niada

Dovrebbero esserci dei modelli, degli esempi semplici e rappresentativi che spiegano che certi comportamenti portano a certi risultati e altri ad altri. Senza imporre nulla, solo dimostrandolo e poi lasciando libero il ragazzo di riflettere, di fare le sue prove e arrivare a prendere delle decisioni in base alle azioni fatte e a risultati ottenuti.

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