Amicizia: una rivoluzione che passa per la letteratura più famosa di sempre
Parlare di amicizia è potenzialmente semplice: è un’esperienza che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha vissuto. Ma è anche terribilmente complicato, perché ogni esperienza è a sé, unica e valida.
Parlare di amicizia, e scrivere di amicizia, è un atto rivoluzionario, tanto che persino il libro del secolo, secondo il New York Times, parla di questo: stiamo parlando de L’amica geniale, capolavoro di Elena Ferrante. E non è un caso che a scrivere quest’opera inaspettata sia una penna anonima, perché, credo, che ciò che rimane inconoscibile sia allo stesso tempo collettivo e universale.
A decretare lo schiacciante trionfo di Ferrante sono mezzo migliaio di luminari della letteratura: caso vuole che tra loro ci sia anche Stephen King, autore della (seconda) grande storia collettiva del nostro secolo (questa volta a dirlo sono io). Sto parlando di It: la lotta del bene contro il male, che altro non era se non lo scontro tra una manciata di adolescenti contro il malefico clown Pennywise. Michela Murgia, la mia grande amica impossibile, disse: «In quella storia non c’era un eroe, ma cinque sfigati che combattevano contro il male, e nessuno di loro sarebbe sopravvissuto da solo». Ecco, King mi/ci ha insegnato che le amicizie nascono anche, e soprattutto, nei margini, negli anfratti bui dove nessuno guarda.
E allora ben venga che anche Il Bullone dica la sua.
La cosa più egoista che si possa pensare è avere la pretesa che la solitudine ci basti. Questo me l’hanno insegnato le storie, quelle dei B.Liver, e le storie dei B.Liver che poi trovo nelle storie della letteratura. È un cerchio che si completa.
«Quando ci si sente disconnessi dalla propria realtà, è comodo fuggire in quella di qualcun altro»: questo lo scrive Maddalena in qualche pagina precedente (concedetemi la licenza poetica di «rubare» al Bullone, sempre che sia possibile farlo) e sta parlando di vita e letteratura, ma non parla forse anche di amicizia? E allora continuiamo a parlare di vita, di amicizia e di letteratura, perché alla fine sono intrinsecamente collegate.
L’amico ritrovato di Fred Uhlman è il romanzo che ogni professore ha assegnato a tutti noi. E tutti lo abbiamo letto, aprendo la prima pagina con diffidenza. Chiudendo l’ultima pagina, e asciugandoci qualche lacrima, abbiamo capito che la guerra è la pretesa di scrivere un libro in una lingua che non si conosce, è l’assenza di sintassi, è l’indecenza di uomini abominevoli che si ostinano a leggere il futuro del mondo, ma senza gli occhiali. L’amicizia, invece, è la capacità di comprendersi senza parlare lo stesso idioma. L’amicizia non legge i codici genetici, è l’unico analfabetismo che dobbiamo preservare. Questo ce lo insegna Ferrante, King, Uhlman, i B.Liver e tutti gli scrittori coraggiosi che si addentrano nel grande dedalo delle relazioni umane.
La guerra è il contrario della vita e, poiché l‘amicizia è vita (e letteratura), la guerra è anche il contrario dell’amicizia. Però poi penso a Chiara e alle parole che dedica a un amico che non c’è più, e allora cambio idea, decido che l’amicizia è anche più della vita, perché non si ferma nemmeno davanti alle porte della morte.
Ma allora, come possiamo parlare di amicizia? Non lo so, forse è per questo che cerco la risposta tra le pagine, che siano di romanzi, raccolte, dizionari, o tra gli articoli del Bullone. Quello che so è che se tu almeno per una volta mi hai capito, allora saremo amici per sempre.
– Elisa Tommassoli
“La cosa più egoista che si possa pensare è avere la pretesa che la solitudine ci basti. Questo me l’hanno insegnato le storie, quelle dei B.Liver, e le storie dei B.Liver che poi trovo nelle storie della letteratura. È un cerchio che si completa.”