La B.Liver Story di questo mese è quella di ilaria, 25 anni, che racconta il suo percorso di cura
La mia storia inizia nell’estate del 2019: nel giugno di quell’anno avevo preso la maturità ed ero finalmente pronta ad iscrivermi all’università, non avevo ancora le idee chiare su quello che volevo fare, però mi stavo impegnando a studiare per i vari test d’ingresso. A luglio avevo fatto una vacanza con le mie amiche, tutto sembrava normale, anche se iniziavo a sentirmi spesso stanca. A fine luglio comincia a venirmi la febbre accompagnata da mal di gola: «vabbè niente di strano», ho pensato, può succedere di ammalarsi anche d’estate, quindi non ci ho dato troppo peso. Per tutto agosto continuo a stare male: nonostante avessi preso l’antibiotico l’infezione non guariva, anzi le mie condizioni peggioravano, la stanchezza era aumentata, la febbre non passava e si erano aggiunti altri sintomi.
A fine agosto mia madre mi convince ad andare al pronto soccorso, non capivamo perché nonostante le medicine continuassi a stare male. I dottori al pronto soccorso mi prescrivono delle analisi del sangue che faccio il mattino dopo, riuscendo a malapena a recarmi all’ospedale. Dopo un paio d’ore arriva la chiamata: «dovete venire qui, gli esami sono molto sballati e ci sono delle cellule brutte». Io ero totalmente confusa: che vuol dire cellule brutte? Ma al momento non mi sentivo di fare domande. Corriamo subito all’ospedale dove avevo fatto le analisi e ci consigliano di andare al Niguarda: «magari è una mononucleosi, ma meglio controllare»; in realtà non mi ricordo quello che pensavo, ricordo solo che ero molto confusa e non capivo che cosa stesse succedendo. Quel giorno, mentre andavo al Niguarda con mia mamma, avevo mandato la foto delle analisi al mio ex ragazzo che studiava medicina, lui non sembrava preoccupato, poteva essere un po’ di anemia e il risultato di una brutta infezione, mi aveva detto. Nessuno si aspettava la diagnosi che avrei ricevuto.
“I dottori al pronto soccorso mi prescrivono delle analisi del sangue che faccio il mattino dopo, riuscendo a malapena a recarmi all’ospedale. Dopo un paio d’ore arriva la chiamata: «dovete venire qui, gli esami sono molto sballati e ci sono delle cellule brutte». Io ero totalmente confusa: che vuol dire cellule brutte? “– Ilaria Leone
Arrivata al Niguarda la mia stanchezza aveva raggiunto il punto in cui non riuscivo a fare un paio di metri senza che mi dovessi fermare; mia mamma era spaventata, non riusciva a capire come potessi stare così male. A quel punto, vengono ripetute le analisi del sangue, per accertare che non ci fosse stato un errore. Arrivano nuovamente i risultati: niente errori, i miei valori del sangue erano pessimi; subito vengo isolata dal resto dei pazienti del pronto soccorso, «per proteggere te dagli altri» la dottoressa mi aveva subito spiegato. A questo punto mia mamma aveva chiesto spiegazioni: «ma che cos’ha mia figlia? Potrebbe essere la mononucleosi?», a questo punto la dottoressa era diventata evasiva e ci aveva detto che probabilmente non era quello e che mi avrebbero dovuto ricoverare. Fino a quel momento della mia vita non ero mai stata ricoverata in ospedale, e questo fatto mi incuriosiva e quasi mi divertiva.
Nei giorni a seguire, i medici mi dissero che dovevo fare un prelievo del midollo osseo, dovevano prendere un po’ del mio midollo osseo per analizzarlo. Al tempo avevo paura anche solo a fare le analisi del sangue, come avrei fatto a farmi prelevare il midollo? Mi ricordo che la mattina dell’esame piansi tutte le mie lacrime. Dall’esame del midollo non passò molto tempo dalla diagnosi, credo due giorni al massimo. Dalla paura dell’esame ero passata alla paura del risultato dell’esame, che cosa avrebbe detto quell’esame? Ancora non mi sfiorava l’idea di avere un cancro. Sono convinta che il mio subconscio lo sapesse o almeno lo sospettasse, ma quell’idea si rifiutava semplicemente di salire in superficie, perché per la me di prima era semplicemente impossibile che avessi un cancro.
Il giorno era arrivato, gli infermieri mi avevano avvisato che il dottore sarebbe venuto a parlarci quella mattina. Nel frattempo mi avevano mandato a fare un’eco cardio; mentre la dottoressa scorreva il manipolo sul mio petto, aveva detto alla sua collega qualcosa come «idonea per la chemioterapia». A quel punto penso che il mio cuore si sia fermato. Ho subito pensato: «ma sta parlando di me?», subito ho cercato di tranquillizzarmi, «no dai, sicuramente si sta riferendo a un’altra paziente»; in quel momento ero in una fase di rifiuto totale, in fondo dovevamo ancora parlare con il dottore, quindi niente era ancora certo, giusto? Beh, purtroppo il dottore confermò tutti i nostri timori. La diagnosi era leucemia mieloide acuta, un tipo di cancro del sangue. Avevamo così tante domande, ma sicuramente la più importante era: «Perché? perché è venuta a me che sono stata sempre sanissima?». beh, purtroppo a quella domanda non c’era risposta, queste cose succedono e basta. A quel punto non c’era scelta, bisognava iniziare subito con la chemioterapia, non c’era tempo per aspettare, perché le mie condizioni erano stabili, ma ancora pessime. Nel giro di qualche giorno la mia vita era stata stravolta; quello che doveva essere un ricovero di pochi giorni diventa un ricovero che dura un mese intero.
Le terapie consistevano in quattro cicli di chemioterapia che avrei dovuto fare una volta al mese. Tuttavia, queste chemio azzeravano completamente il sistema immunitario che doveva poi ripartire da zero. Secondo i miei dottori il trapianto di midollo non era necessario nel mio caso, visto che c’erano buone possibilità che la malattia non tornasse più, quindi, dopo 4 mesi di ospedalizzazioni, nel gennaio 2020 finisco le terapie. Mi ricordo che ero contentissima di aver finito le cure ed ero piena di speranza nel futuro, nonostante il pensiero del cancro mi mettesse ancora molta paura.
Nei primi mesi del 2020, come tutti ci ricordiamo, scoppia la pandemia di Covid e tutti ci ritroviamo chiusi in casa. Quello che per me era diventata normalità nel corso dei miei ricoveri, cioè, rimanere in un luogo chiuso e mettere la mascherina, per il resto del mondo era qualcosa di nuovo e spaventoso. Nonostante fossi nuovamente confinata in un luogo chiuso, mi sentivo bene, perché rispetto a ciò che mi era successo nei mesi precedenti quello non era nulla; ero contenta di stare finalmente bene, avevo dato il mio primo esame in università e avevo iniziato ad allenarmi.
– Ilaria Leone
“La diagnosi era leucemia mieloide acuta, un tipo di cancro del sangue. Avevamo così tante domande, ma sicuramente la più importante era: «Perché? perché è venuta a me che sono stata sempre sanissima?». beh, purtroppo a quella domanda non c’era risposta, queste cose succedono e basta.”
Nel dicembre dello stesso anno, facendo le analisi del sangue ci rendiamo conto che i miei valori del sangue erano abbastanza bassi, i medici mi avevano rassicurato dicendo che era normale che i valori fossero un po’ ballerini dopo le terapie, inoltre avevo fatto quello stesso mese l’esame del midollo, che non mostrava segni della malattia. Tuttavia, ripetendo le analisi a gennaio i valori si erano abbassati ancora di più: ero terrorizzata, non volevo rivivere tutto di nuovo, e cercavo di ripetermi che forse era normale quell’abbassamento e che alla prossima analisi del sangue i valori si sarebbero rialzati. Purtroppo, a distanza di due settimane i miei valori erano peggiorati ulteriormente, spingendo i miei medici a farmi ripetere l’esame del midollo.
Dentro di me lo sapevo che era tornato, aspettavo solo che me lo dicessero, ed ero più spaventata che mai ora che sapevo che cosa mi aspettava. Nel giro di due giorni i dottori mi chiamano, vogliono vedermi, so già perché, ma cerco di non pensarci; mi confermano che la malattia era tornata e che questa volta le chemioterapie non sarebbero bastate, dovevo fare il trapianto di midollo. Quella notizia mi spaventò molto, perché sapevo quanto delicato fosse quell’intervento. Due persone che avevo conosciuto in reparto e a cui avevo voluto bene erano mancate a causa delle complicazioni del trapianto, e una delle due era mancata proprio una settimana prima della mia seconda diagnosi.
In quel momento pensavo che sarebbe andata così anche per me, pensavo: «che cos’ho io di speciale rispetto a loro?» e mi sono risposta, «niente». Non sapevo davvero come avrei fatto a trovare la forza per riprendere le cure e per affrontare un trapianto di midollo, in quel momento vedevo davanti a me una montagna altissima e vedevo me piccola, ai suoi piedi.
Dopo qualche mese di chemioterapia, arriva finalmente il momento del trapianto nel giugno del 2021. I protocolli da seguire una volta ricoverati sono rigidissimi: ogni cosa deve essere sterile, dato che anche un normale microbo può rappresentare un pericolo per chi si sottopone a un trapianto di midollo. A metà luglio vengo dimessa e inizia un lungo percorso di «reinserimento nel mondo normale», in cui il nuovo sistema immunitario si deve adattare a vivere in un mondo popolato da batteri e microrganismi. Quel percorso ha portato fino ad oggi. Ora sto bene e riesco a vivere una vita normale, la malattia rimane solo un brutto ricordo e un’esperienza che mi ha insegnato molto e che mi ha profondamente cambiata. Alla domanda «Perché io ce l’ho fatta e altri no?», ho trovato una risposta: «Fortuna». Ogni giorno ci svegliamo e siamo vivi e in salute solo per una questione di fortuna, e dovremmo tutti rendercene conto per apprezzare quello che abbiamo e non darlo mai per scontato.
– Ilaria Leone
“Alla domanda «Perché io ce l’ho fatta e altri no?», ho trovato una risposta: «Fortuna». Ogni giorno ci svegliamo e siamo vivi e in salute solo per una questione di fortuna, e dovremmo tutti rendercene conto per apprezzare quello che abbiamo e non darlo mai per scontato.“