Oltre i confini: la storia di Umberto e la lotta per la libertà
Cos’è un confine?
Provate a chiudere gli occhi e a pensare a una parola che lo rappresenti. È qualche giorno che mi chiedo cosa sia per me. Ho iniziato vedendolo come un limite. Uno scoglio.
Come una cosa faticosa. Più andavo avanti però, e più mi rendevo conto che stavo cambiando visione. Ho pensato a me, alla mia storia. Cos’era per me un confine?
I miei genitori, le regole e la cosiddetta «vita per bene». Come ogni adolescente non volevo tutto questo. Volevo sentirmi libero. Per varie motivazioni ho incontrato quella che per me sarà la peggiore amante: la sostanza. Con quella sì che mi sentivo senza confini!
Anzi, non mi bastava più nulla. Nella mia testa non esistevano più barriere, tutto non era mai abbastanza. Avevo una sorta di ingordigia, di esasperazione. Se non esageravo, se non superavo il confine non stavo bene. Non ero felice. Ho passato più di 10 anni dentro questo meccanismo. Più di 3.000 stramaledetti giorni di costante e continua assunzione. Ero libero?
Rispondete, ero libero? «E mi sentivo senza confini…». Che poi questo non è non avere confini, ma sconfinare. Scavalcare il muro, creare dei vuoti e perdersi.

Immagine generata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.
Mi sono perso. Non sapevo chi ero. Non sapevo dove andavo.
Purtroppo è plausibile che un ragazzino appena si rende conto del male che si è fatto e che ha causato, non riesca a perdonarsi. Mi sono risposto con «perché non si conosce», conosce solo quella versione malata di sé. È qui che entrano in gioco i confini in modo positivo!
Questo posto, che è il mio confine, mi dà la possibilità di mettermi alla prova.
Mi dà la possibilità di conoscermi. Mi dà la possibilità di capire perché le cose siano andate così. Di capirmi. Di avere rispetto di me. Di volermi bene. Di perdonarmi.
Il confine, in questo senso, è come un territorio, un giardino. L’abitare e l’abitarsi.
Il conoscere le proprie debolezze e i propri punti di forza. Questo però deve essere un confine mobile, poroso. Diventare consapevoli a tal punto di sapere se è il momento giusto di allargarsi un po’, o se non siamo ancora pronti. La porosità si vive attraverso le relazioni.
Sono quelle che ci insegnano e ci aprono nuovi mondi. Grazie alle relazioni capiamo i nostri confini. È come se al margine del confine avessimo uno specchio. Ci dobbiamo osservare fino a conoscerci nel più profondo. Lo specchio, però, sono anche le persone che ci circondano. Che ci aiutano a capirci meglio. Il mio specchio ora sono i ragazzi con cui vivo. Gli stessi che mi capita di non sopportare. Quelli con cui condivido la mia quotidianità e le mie fatiche. Quei ragazzi che, come me, ogni giorno lottano per rinnovare una scelta di rinascita. Loro, che mi parlano con gli occhi e mi fanno capire cose che le parole non riescono ad esprimere. Mi fanno scoprire lati di me nascosti e che pensavo inaccessibili.
Mi forgiano e mi aiutano in un allenamento duro che insegna a vivere.
Loro sono il mio confine che mi aiuta a diventare libero.
– Umberto Bocci
“Questo posto, che è il mio confine, mi dà la possibilità di mettermi alla prova.
Mi dà la possibilità di conoscermi. Mi dà la possibilità di capire perché le cose siano andate così. Di capirmi. Di avere rispetto di me. Di volermi bene. Di perdonarmi.”