Sanremo e noi: vince il giovane Olly, in sala stampa si ricorda Oriana

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La B.Liver Debora racconta il 75esimo Festival di Sanremo, celebrato con canzoni che hanno esplorato temi di fragilità, paura e salute mentale. Un'edizione che ha coinvolto giovani artisti e portato a diverse riflessioni.
Lucio Corsi canta con topo Gigio nella serata delle cover.

Il Festival di Sanremo: un viaggio tra musica e fragilità

Il Festival di Sanremo è arrivato alla sua 75ª edizione e, per sottolinearne l’importanza, ecco uno storico traguardo: con la finale dello scorso 15 febbraio, le serate della kermesse ammontano a 300. Niente male per un evento che riesce a dividere un intero popolo, tra chi freme dalla voglia di conoscere le canzoni in gara e chi vorrebbe tapparsi le orecchie già dal dicembre precedente. È arrivato, però, il momento di riavvolgere il nastro e ripercorrere i momenti e gli aspetti del Festival che meritano una riflessione più profonda. Mi sembra giusto cominciare con la conferenza stampa del lunedì, l’inizio ufficiale dell’evento. Ordinaria amministrazione, si potrebbe dire, tranne che per un pensiero: «Vorrei ricordare altri colleghi e amici che hanno fatto grande questa sala stampa», ha affermato al microfono un giornalista, e ha aggiunto, «… poi un’amica che stava nella (sala stampa) Lucio Dalla, Oriana Gullone». Gli applausi di tutti i presenti sono arrivati dritti al cuore e, certamente, fin sopra le nuvole: un’emozione che circonda le spalle in un caldo abbraccio. Le cinque serate, invece, si sono rivelate nel complesso, scorrevoli, precise, curate nel dettaglio. Il merito di tale meticolosità è anche, ma soprattutto, di Carlo Conti, conduttore e direttore artistico. Il cambio della direzione, infatti, rispetto agli anni precedenti, si è notato, specialmente riguardo le tempistiche delle singole serate: una marcia sostenuta che ha coinvolto tutte le persone che hanno preso parte alla gara. Questa moderata corsa ha garantito un giusto equilibrio tra le esibizioni degli artisti e gli spazi dedicati agli ospiti, ma il risultato mi è parso un poco macchinoso: i passaggi da un momento a un altro sono stati molto tecnici, quindi prestabiliti e rispettati, ma, a parer mio, poco sfumati.

L’emozione però non è mancata, anzi. Il palco dell’Ariston ha regalato momenti indimenticabili di divertimento legati a tensione e pura gioia. Ma veniamo al dunque, alle protagoniste effettive del Festival: le canzoni in gara. Quest’anno sono state ventinove e, seppur tante, non rappresentano un record che, per la cronaca, è fermo al 1989, quando i brani presentati furono quarantotto. I temi affrontati sono stati tanti e declinati in maniera differente. La paura, per esempio, di diventare padre affrontata da Brunori Sas con la canzone L’albero delle noci. Spesso l’essere genitori viene associato a un immaginario felice, pieno di gioia, amore e soddisfazioni, ma la parte più fragile, quella attanagliata da dubbi e senso di inadeguatezza, rimane nascosta, quasi fosse motivo di imbarazzo o vergogna. Condividerla però, ne toglie la pesantezza, permette di raccontarsi o ritrovarsi e di creare una connessione tale con gli altri, da superare le difficoltà: «e ora ti vedo camminare con la manina in / quella di tua madre / e tutta questa felicità forse la posso sostenere / perché hai cambiato l’architettura e le / proporzioni del mio cuore». Anche Joan Thiele, nella sua Eco, parla della paura, ma legata all’insicurezza: «Fidati è meglio sbagliare che restare immobile», canta l’artista, e trovo la frase molto importante. Come se fosse un consiglio lei parla delle idee, cioè pensieri in continua evoluzione anche grazie al confronto con gli altri. È per questo che non bisogna vergognarsene, ma, anzi, difenderle, sostenerle. Un altro grosso tema portato sul palco del Festival è la salute mentale, grazie alla canzone di Fedez, Battito, una dedica alla depressione, come da lui dichiarato, che stringe, avvolge, soffoca, oscura.

Olly, il vincitore del 75esimo Festival di Sanremo.

Una richiesta chiara di porre attenzione su una questione delicata con la giusta cura e serietà. «Forse mento / quando ti dico / sto meglio» racchiude, con apparente semplicità, una presa di coscienza, come una mano che si alza in cerca di aiuto. Molti brani, compresi quelli precedentemente citati, sono collegati da un filo rosso: la fragilità.  Simone Cristicchi, in Quando sarai piccola, ne parla in modo poetico, scrivendo una lettera dedicata alla mamma in cui le racconta con estrema dolcezza la sua vita: «Giocheremo a ricordare quanti figli hai, / che sei nata il 20 marzo del ’46 / se ti chiederai il perché di quell’anello al dito / ti dirò di mio padre ovvero tuo marito». Anche la rabbia e la stanchezza fanno parte del brano con l’intenzione di sottolineare la frustrante impotenza che può imprigionare chi vive una situazione simile. Cristicchi ha aperto uno spiraglio della sua vita, permettendo a chi ascolta di immedesimarsi, di accogliere le debolezze o semplicemente di ascoltare il suo punto di vista. Lucio Corsi, invece, affronta la fragilità declinata nei sogni di un ragazzo che si scontrano con la realtà di un adulto: Volevo essere un duro, titolo e frase ricorrente nel testo, esprime il desiderio di forza di una figura esile, «non sono nato con la faccia da duro»; il bisogno di ammirazione e fortuna di un ragazzo impacciato, «invece che una stella / uno starnuto»; l’accettazione della propria unicità da parte di chi impara, anche con fatica, ad essere più sicuro di sé, «io volevo essere un duro / però non sono nessuno / non sono altro che Lucio». Anche il vincitore del Festival, Olly, racconta la fragilità concentrandosi sulla Balorda nostalgia, titolo della sua canzone, che rimane al termine di una relazione di cui ripercorre i momenti più belli e semplici. Dal divano alla cucina, l’artista coinvolge chi ascolta nei suoi ricordi, mostrando una parte vulnerabile di sé e ammettendo che «magari non sarà / magari è già finita / però ti voglio bene / ed è stata tutta vita», lasciando intendere che, nonostante la nostalgia e il dispiacere, il sentimento provato era autentico e verrà custodito con affetto.

In estrema sintesi si può pensare che la fragilità stia prendendo uno spazio sempre più ampio all’interno dei testi musicali e, in generale, in questo tipo di competizioni. Un aspetto affascinante è il cambio di narrativa: l’essere fragili non è per forza sinonimo di debolezza e di resa, ma può essere un punto di partenza o di analisi, una condivisione che può generare un confronto, anche generazionale, volto ad unire le persone. Ma non solo: anche la paura, le relazioni, tutto ciò che si vive in prima persona e di cui si fa esperienza giorno per giorno. L’ultima cosa che mi sento di far notare, è la presenza ormai costante dei giovani che approfittano di un palcoscenico così importante per far sentire la propria voce: ai coetanei, come rappresentanza, ai più grandi, come ricerca di esempio e sostegno.

– Debora Zanni

Mi sembra giusto cominciare con la conferenza stampa del lunedì, l’inizio ufficiale dell’evento. Ordinaria amministrazione, si potrebbe dire, tranne che per un pensiero: «Vorrei ricordare altri colleghi e amici che hanno fatto grande questa sala stampa», ha affermato al microfono un giornalista, e ha aggiunto, «… poi un’amica che stava nella (sala stampa) Lucio Dalla, Oriana Gullone». Gli applausi di tutti i presenti sono arrivati dritti al cuore e, certamente, fin sopra le nuvole: un’emozione che circonda le spalle in un caldo abbraccio.”

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