Carcere di Opera: dialogo sul fine vita in un carcere. Così la morte non fa più paura

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La B.Liver Emanuela descrive l’incontro tra la dott.ssa Lucchi (VIDAS), detenuti e studenti a Opera, dove si discute di cure palliative, ascolto e dignità, temi cruciali per chi affronta la sofferenza e la solitudine.
Una foto dell'incontro tra l’associazione In Opera e l’associazione VIDAS.

Carcere di Opera: un dialogo tra VIDAS, detenuti e studenti

Vengo invitata alla Casa di Reclusione di Opera a partecipare all’incontro dell’Associazione In Opera, organizzato dalla dott.ssa Giovanna Musco (volontaria di Sesta Opera e dell’Associazione In Opera) tra la dottoressa Emanuela Lucchi, Coordinatricee degli infermieri di medicina palliativa dell’Associazione Vidas e i detenuti. Sono presenti anche gli studenti del Liceo Parini con le loro insegnanti.

Ho assistito con piacere all’incontro, in quanto volontaria sia in Hospice a Vidas da alcuni anni, che nel Laboratorio di Poesia all’interno di Opera.

La dott.ssa Lucchi ha illustrato molto bene il termine «cura», rivolto alle persone in fine vita (VIDAS si occupa di questo nella sua struttura di Hospice a Milano con 20 stanze singole e diverse sale e spazi comuni, oltre a un edificio con un reparto pediatrico di accompagnamento ai bambini e di supporto ai loro genitori), in cui si accolgono le esigenze del malato. Il compito del personale (medici e infermieri) palliativisti è quello di dare sollievo al dolore del paziente nell’ultima fase della vita, senza alcun compenso economico. Inoltre VIDAS (Volontari Italiani Domiciliari per l’Assistenza ai Sofferenti) offre il suo servizio gratuito a domicilio inviando tutto il personale competente e gli ausili necessari ai malati terminali.

È stato quindi affrontato il tema della morte con grande naturalezza e realismo, ma anche delicatezza. Sia i detenuti che i ragazzi hanno mostrato una certa consapevolezza a riguardo e hanno ascoltato attentamente argomenti decisamente lontani dalle conversazioni quotidiane.

Le persone detenute hanno manifestato molto interesse per il discorso sanitario, dicendo che anche loro vengono curati all’interno del carcere, ma a volte non ricevono tutte le cure necessarie, anche perché diversi di loro hanno patologie psichiatriche o da tossicodipendenza, di difficile gestione.

L’associazione In Opera e l’associazione VIDAS si incontrano nella casa di reclusione di Opera.

Hanno espresso la richiesta di maggiore attenzione nei loro confronti e segnalato la forte esigenza di contatto con l’esterno sotto forma di dialogo con persone che li ascoltino nei loro bisogni, con attenzione e senza giudizio. A questo proposito, hanno evidenziato che i colloqui via Zoom che effettuavano con i volontari erano di grande efficacia, sollievo e consolazione. Si chiedono come mai vengano interrotti, visto che portavano delle piccole luci nelle loro giornate buie e permettevano di confrontarsi e ottenere delle boccate di aria fresca per «evadere» dalla monotonia del quotidiano, potendo parlare di argomenti diversi e più specifici per i loro interessi. Si sentivano ascoltati e traevano beneficio da momenti di apertura e novità per spezzare la routine.

La dottoressa Lucchi ha illustrato molto bene l’operato di medici e infermieri, puntando sul lato umano dell’assistenza e su tutti gli strumenti utili a far sentire le persone accolte e curate con dedizione. Gli operatori sono consapevoli di non poter guarire, ma solo stare accanto con professionalità e umanità, perché la dignità della persona possa essere preservata fino alla fine.

È stata una grande lezione per tutti affrontare il tema della morte, che tocca tutti indistintamente e a cui dobbiamo prepararci, ma soprattutto è parso evidente che il tema centrale è la vita, che sia piena e ricca di senso e affetto finché ci è data. E questo viene reso possibile dai principi portati avanti e resi concreti da VIDAS.

Alcuni detenuti hanno affermato che sarebbe auspicabile che questo avvenisse anche all’interno del carcere per chi si trova in quell’evenienza, per avere la possibilità di essere affiancati da personale esperto e compassionevole.

Gli studenti erano interessati alle condizioni dei carcerati e volevano sapere di più sulla loro vita ristretta, limitata, chiedendo come gestiscono la rabbia e la frustrazione. È emerso come sia importante creare buone relazioni tra loro e si è evidenziato che spesso è il compagno di cella, o gli amici che si prendono cura di chi è ammalato, o ha degli impedimenti fisici o limitazioni.

La dottoressa ha sottolineato che il loro compito è quello di porsi in ascolto delle esigenze delle persone. Ognuna è un mondo, con la propria cultura, religione e visione della vita. Chiunque si accosti a un paziente deve farlo con profondo rispetto e garbo. Raccontava che l’ironia e il senso dell’umorismo le vengono in aiuto in moltissime occasioni, per sollevare lo «spirito» del paziente. Non a caso, si definisce spirito, probabilmente ha più a che fare con le alte sfere dell’anima, dove l’atmosfera è più rarefatta e leggera, per allontanarsi dalla pesantezza della situazione presente. Anche le persone detenute confermavano che le battute di spirito e lo scherzo li aiutano a sopportare momenti duri, a volte insostenibili, soprattutto perché ripetitivi e interminabili.

Sebbene le tematiche fossero piuttosto dense e complesse, lo scambio di riflessioni e sensazioni è stato molto stimolante e arricchente per tutti. 

– Emanuela Niada

È stata una grande lezione per tutti affrontare il tema della morte, che tocca tutti indistintamente e a cui dobbiamo prepararci, ma soprattutto è parso evidente che il tema centrale è la vita, che sia piena e ricca di senso e affetto finché ci è data. E questo viene reso possibile dai principi portati avanti e resi concreti da VIDAS.

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