Mario Giunta: passione, amicizia e giornalismo sportivo
Mentre aspettavo nella sala riunione di Sky Sport di iniziare l’intervista con Mario Giunta, uno dei giornalisti e conduttori di punta della redazione sportiva, la mia curiosità di conoscerlo diventava sempre più alta, soprattutto dopo aver visto il suo speciale L’aquila di Istanbul su Ciro Immobile. E adesso posso dirlo: avere avuto la possibilità di poter conversare con lui è stato un privilegio enorme.
Mario, ci racconta come è nata questa amicizia tra lei e Ciro? Può un giornalista «staccarsi» dalla sua professione ed essere amico di uno sportivo?
«La nostra amicizia inizia circa 12/13 anni fa, tramite la conoscenza, per ragioni di lavoro, tra mia moglie e quella di Ciro. Successivamente subentriamo anche noi e da subito nasce una bell’intesa. Di lui posso dire che è una delle persone più generose che ho conosciuto. Una cosa abbiamo in comune: il valore dell’amicizia, fondamentale per entrambi. Quando un amico ha bisogno di aiuto, lui non si tira indietro e fa di tutto pur di aiutarlo e renderlo felice. Infatti, considero quella di Ciro come una seconda famiglia. Un paio di esempi che testimoniano la nostra stretta amicizia, insieme a quella degli altri nostri amici, è quello di aver celebrato i dieci anni di matrimonio di Ciro e di sua moglie e di scrivere ogni mattina sulla nostra chat Buongiorno. Sembra una cosa banale, ma questo indica il rapporto di fratellanza che sentiamo reciprocamente e su cui possiamo fare affidamento. Ovviamente non posso dimenticarmi del lavoro che svolgo e sono capitati dei momenti in cui ho dovuto commentare delle prestazioni non buone da parte di Ciro, ma so che lui non mi porterà mai del rancore perché sa benissimo che svolgo il mio ruolo professionalmente».
Nella sua carriera giornalistica, lei si è occupato anche di calcio femminile. Con il salto al mondo del professionismo, quanto è cresciuto il movimento?
«Nel 2019, anno in cui Sky ha preso i diritti dei mondiali femminili, abbiamo svolto un grande lavoro con la nostra nazionale sotto l’aspetto comunicativo per dare maggiore visibilità. I risultati ci hanno premiato: infatti, negli anni a seguire si è raggiunto un livello di popolarità mai così alto. Ma ci si deve scontrare con un muro culturale che considera ancora, nel 2025, che il calcio sia uno sport prettamente maschile. Non è così: garantisco che tutte le ragazze hanno una passione enorme per il calcio e che ci mettono tanta dedizione in quello che fanno. Lo status di essere dentro al mondo del professionismo è solo per una questione burocratica ma necessaria, visto che tanti altri Paesi europei sono avanti su molti aspetti. Dobbiamo capire che il calcio femminile è una risorsa, non un obbligo».
Dal 2008, anno in cui lei è entrato in Sky, l’evoluzione tecnologica è mutata profondamente. Come si è adattato a questo cambiamento?
«Da quando sono in Sky, precisamente dal 5 luglio 2008, ho vissuto tante evoluzioni tecnologiche, anche sotto l’aspetto organizzativo del lavoro. Ma il vero spartiacque è stata la pandemia del Covid nel 2020: abbiamo dovuto adattarci e l’azienda ci ha permesso di usare tecnologie tali da essere più autonomi nell’approccio al lavoro. Un esempio: gli inviati, attraverso un software installato nel telefono, possono da soli svolgere molteplici attività, dal montaggio del servizio fino ad essere regista di sé stessi. Quindi il giornalista, soprattutto quello televisivo, non è più un semplice reporter che dà le notizie, ma deve essere completo a 360 gradi anche sulle attività tecniche».
Nell’ultima riunione di redazione del Bullone, si è discusso di anticonformismo e conformismo, con un accento posto su chi ha delle idee diverse rispetto agli altri e per questo viene messo all’angolo. Ti è mai capitato di essere «stravagante» nel tuo lavoro?
«Non mi è mai capitato di essere stravagante. Però mi sto accorgendo, attraverso il mondo del calcio, che il pensiero è visto come una lotta, nel senso che se una persona ha un pensiero diverso dal suo interlocutore, viene vista come un nemico. Non c’è quasi mai un tentativo di comprendere il pensiero dell’altro, perché sembra quasi un segno di debolezza. Per quanto mi riguarda non appartengo a questa categoria, anzi, sono aperto al dialogo e all’ascolto».
Nel corso degli anni, ho visto che lei è diventato docente di alcuni corsi nei vari istituti/business school. Quando incontra i ragazzi e le ragazze in questi corsi, che cosa vuole trasmettere loro?
«Mi preme sottolineare maggiormente che senza passione, sacrifici (e avere anche un po’ di fortuna), questo lavoro meraviglioso del giornalista sportivo non puoi farlo. Poi mi piacerebbe trasmettere ai ragazzi la passione che ho coltivato con il passare degli anni, sottolineando il fatto che non si diventa ricchi facendo questo mestiere. In più, dico sempre di non avere paura di ricevere dei “no” e di non scoraggiarsi alle prime difficoltà».
Noi giornalisti del Bullone abbiamo un motto: «Fare, Pensare, Far Pensare». Lei hai un suo motto personale? Quali sono le tre parole che la descrivono?
«Quando mi chiedono che lavoro faccio rispondo sempre così, citando in parte una frase di Indro Montanelli: faccio il giornalista sportivo, sempre meglio che lavorare. Questo è il mio motto. Per quanto riguarda le tre parole, sono tutte collegate e riassumono la mia persona nel privato e nel lavoro: Passione, Amicizia e Famiglia».
– Mario Giunta
“Mi preme sottolineare maggiormente che senza passione, sacrifici (e avere anche un po’ di fortuna), questo lavoro meraviglioso del giornalista sportivo non puoi farlo. Poi mi piacerebbe trasmettere ai ragazzi la passione che ho coltivato con il passare degli anni, sottolineando il fatto che non si diventa ricchi facendo questo mestiere. In più, dico sempre di non avere paura di ricevere dei “no” e di non scoraggiarsi alle prime difficoltà“