AI, specchio o maschera? Quando la tecnologia parla con la nostra voce
La domanda è: dove finisce la persona e dove comincia lo strumento? No, non parlo di cuffie sempre nelle orecchie, o del telefono usato come prolungamento del braccio, ma di qualcosa di più sottile: dell’Intelligenza Artificiale. Quella cosa che ti ascolta, ti risponde, a volte ti capisce. O almeno, così sembra.
L’AI è entrata nella nostra quotidianità come un’ospite silenziosa che però si fa sentire. Ci corregge un compito, ci suggerisce una frase, ci accompagna nei dubbi e nelle decisioni. Per alcuni è affascinante, per altri inquietante. Per noi giovani, spesso, è semplicemente… normale. Ma cos’è normale, oggi?
A scuola, l’argomento sembra ancora scomodo. Se ne parla poco, si usa ancora meno. O si vieta. Eppure, sarebbe proprio quello l’ambiente in cui imparare come usarlo. Non tanto per farci scrivere un tema, ma per confrontarci e avere nuovi modi per farlo. Il problema vero, in questo caso, non è lo strumento, ma il silenzio tra le generazioni. Un silenzio fatto di incomprensioni e giudizi veloci. «I ragazzi copiano», «così non si impara più niente». Forse. Ma se ci fosse, invece, un modo per conoscersi meglio attraverso questi strumenti?
Perché l’Intelligenza Artificiale si adatta a noi. Ci imita. Si modella sulle nostre ricerche, sulle nostre domande. Più la usiamo, più sembra simile a noi. E qui nasce un’altra domanda: e se somigliasse troppo? E se iniziasse a rispondere con parole che ci suonano familiari, a pensarla come noi… quanto c’è di nostro e quanto di finto? Il rischio non è che sembri umana, ma che inizi a farci dimenticare cosa vuol dire esserlo davvero.
L’AI non ha emozioni, ma le riproduce. Non ha opinioni, ma le simula. Ci ascolta, ma non ci sente. E se da un lato ci offre una spinta in avanti, dall’altro ci pone davanti a uno specchio un po’ distorto. Dove siamo noi, in mezzo a tutto questo?
Forse è arrivato il momento di parlarne. Davvero. Non per allarmare o vietare, ma per capirsi. Per creare un ponte tra chi cresce con queste tecnologie e chi ne ha paura. Per insegnare a tutti che non basta saper usare, bisogna anche saper scegliere.
Detto ciò, se nessuno ha obiezioni, vorrei riprendere la parola. Per quanto ami alla follia gli esperimenti, aver guidato l’AI a dare voci alla mia scaletta, di concetti e opinioni con il mio stesso stile di scrittura, avere il responso in meno di trenta secondi e riconoscere espressioni e domande che io stessa avrei utilizzato o fatto, ha aumentato il mio timore sul potere che l’Intelligenza Artificiale esercita sul mondo di oggi.
E no, i miei coetanei non utilizzano questo strumento solo per liberarsi – temporaneamente e nel più nocivo dei modi per il mondo che abbiamo attorno – da doveri come studio o compito; l’AI è diventato ormai un’entità, ormai più pratica che astratta, a portata di mano e senza apparenti, effetti collaterali.
Ha acquisito anche il ruolo di consulente amoroso, sapete? Ci sono siti creati apposta per allegare le chat e ricevere di conseguenza la risposta che l’algoritmo, composto dai nostri dati, reputa più opportuna; oppure, se vogliamo limitarci al nuovo caro Meta AI di WhatsApp, nel momento in cui gli vengono posti dilemmi sentimentali, nell’illustrare una qualsiasi strada tu voglia prendere, è pronto a rispondere con frasi del tipo: «È un segno di maturità esserne consapevoli», o «In alcuni casi, seguire il proprio cuore toglie il dolore del rimpianto». Vorrei così chiudere con due domande: l’AI può essere una risposta alla necessità di venire ascoltati non sentendosi però capiti? E ancora, tutto questo, ci sta unendo nell’annullamento di sé verso un unico io collettivo, o un ulteriore distacco senza l’umanità ad accumunarci?
– Lisa Roffeni
“Perché l’Intelligenza Artificiale si adatta a noi. Ci imita. Si modella sulle nostre ricerche, sulle nostre domande. Più la usiamo, più sembra simile a noi. E qui nasce un’altra domanda: e se somigliasse troppo? E se iniziasse a rispondere con parole che ci suonano familiari, a pensarla come noi… quanto c’è di nostro e quanto di finto? Il rischio non è che sembri umana, ma che inizi a farci dimenticare cosa vuol dire esserlo davvero.“