Intervista all’artista Luigi Pretin, surrealista magico, amico di Dalì e De Chirico

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Luigi Pretin, 87 anni, pittore amico di Dalì e De Chirico, racconta al B.Liver Andrea la sua vita tra sofferenza, arte, trascendenza e dialoghi con le nuvole.
Una foto del pittore Luigi Pretin.

Il surrealista magico che parla con le nuvole: intervista a Luigi Pretin

A pochi chilometri dalla costa ligure, nell’entroterra c’è un piccolo paese, Pontinvrea, che conta circa 700 abitanti, tra questi, un pittore che si è formato a Parigi nel secolo scorso, amico di Salvador Dalì e di De Chirico. Oggi, a 87 anni, continua a dipingere: è Luigi Pretin, il «surrealista magico». Nonostante sia quasi estate, in soggiorno c’è il caminetto acceso: Pretin sembra che si porti addosso un freddo nell’anima, così mi offre un bicchiere di vino rosso «per riscaldarci».

Buongiorno Maestro, prima di parlare della sua Arte mi piacerebbe che si presentasse, lei ha un cognome veneto, dov’è nato?

«A Chioggia, l’8 giugno del 1938, però ci siamo trasferiti in Liguria quando avevo 14 anni».

Quando è nata la sua passione per la pittura?

«Da subito, già da bambino. All’asilo facevo i ritratti delle maestre. Ho disegnato i contadini e i pescatori. Per me la pittura è la prima forma di comunicazione. Alle elementari invece di scrivere i dettati li disegnavo. Venivo sempre rimproverato per questo. È difficile disegnare un dettato, ma a me veniva spontaneo farlo. Durante l’adolescenza ho avuto un’enorme sofferenza, un malessere interiore che a tratti ancora oggi ritorna e mi fa venire freddo nel cuore».

Che cosa è successo?

«L’artista che vive dentro di me si è manifestato, ha preso spazio nella realtà sotto forma di sofferenza e così, per poter esprimere questo malessere, mi sono trasferito a Parigi. Non avevo nemmeno vent’anni. Erano tempi difficili. Il mondo ci guardava in modo obliquo. Però a me interessava solo il mio mondo interiore e la sofferenza che dovevo esprimere. Al resto non prestavo attenzione. Mi sono chiesto tante volte perché sono nato. Cosa ci faccio in questa Terra. Mi sono detto tante volte che forse sarebbe stato meglio continuare a esistere solo come idea. Non avevo strumenti per capire chi ero. Solo la sofferenza mi faceva sentire vivo».

Avrà avuto una vita da artista bohemien: viveva in qualche mansarda sulla Rive Gauche?

«Macché. La parola “bohemien” è troppo aulica e letteraria, valida per quelli che sono stati definiti i “poeti maledetti”. Io dormivo sulle panchine. Davanti alle chiese. Per terra. La mia vita inizialmente era uguale a quella di un barbone. Nessun soldo, avevo solo i miei colori e il mio disagio di vivere. Trovavo pace solo disegnando. Ho fatto il madonnaro e i ritratti che vendevo per strada. Alla sera passavo davanti ai ristoranti e sentendo il profumo delle cucine mi creavo l’illusione di aver cenato».

Com’è uscito da quella condizione di povertà?

«Frequentavo gli artisti del tempo. Eravamo in tanti in quella situazione. Ci nutrivamo di sogni, di fantasia e di arte. C’è stato un uomo che mi ha capito subito, una personalità grande e generosa. Io non sapevo chi fosse, sono stati gli altri a dirmi che le mie opere avevano fatto colpo su Salvador Dalì. Lui voleva conoscermi, voleva sapere com’ero fatto dentro. Mi sono sentito capito e compreso da lui, non solo come artista ma come uomo».

Come vi siete conosciuti?

«In principio Dalì ha conosciuto la mia arte, è stata la mia pittura a entrare in lui e ha visto in me un punto di vista che era anche il suo, così mi ha commissionato dei lavori e abbiamo collaborato. È stato in quel preciso istante che ho iniziato a parlare con le nuvole».

A parlare con le nuvole? Si spieghi meglio…

«La mia pittura è tutta un dialogo incessante con il cielo, io parlo con le nuvole, con l’aria, con tutto ciò che vive sopra di noi. Tengo sempre lo sguardo rivolto al cielo, sino ad arrivare all’Universo tutto. L’elemento che spesso si trova nei miei quadri sono loro, le nuvole. Mi hanno sempre accompagnato, compreso, reso partecipe della vita. Le nuvole, loro, mi hanno salvato la vita».

Come definirebbe Salvador Dalì?

«Un genio assoluto. Non c’è bisogno di altre parole. La sua pittura la vedi, la tocchi, esce dai quadri, diventa realtà. Dalì ha modificato le forme della realtà con la sua pittura. Ci ha fatto vedere cose che sono eterne. Era anche un grande uomo generoso, gentile, disponibile. Quando gli mostravo le mie opere io dicevo un prezzo, se a lui interessavano, le pagava anche il doppio».

Ci sono altri pittori che ha conosciuto e che l’hanno influenzata?

«De Chirico, sicuramente. Dal mio punto di vista è proprio De Chirico che ha influenzato Salvador Dalì. I due si assomigliavano anche di carattere, se non gli piacevi, ti incenerivano».

Con queste influenze e osservando le sue opere è evidente che la  corrente alla quale lei appartiene è il Surrealismo…

«Per me il Surrealismo è una ricerca di trascendenza. Sono obbligato a crearmi e immaginarmi Dio. Lui, per me, vive nelle nuvole. Sono stato definito da Pier Paolo Pasolini un surrealista magico perché porto l’immaginazione sino alla trascendenza. La ricerca del trascendente e la pace che porta con sé è insita nella mia pittura che è filosofica, oltre che artistica».

Filosofica e, da quello che dice è anche teologica, religiosa.

«Dio vive nelle nuvole e io parlo con loro perché mi guardano, sono sopra la mia testa e mi ricordano che sono solo un ospite su questo pianeta. Le figure che disegno escono dal nostro incessante dialogo e io mi faccio trasportare, la mia pittura è un viaggio metafisico. Le nuvole passano, si posano sopra di noi e un giorno la nostra anima si unirà a loro».

Che cosa consiglia ai giovani che desiderano fare arte?

«Se sei un artista capace verrai sempre odiato. Fate attenzione agli odiatori e ai critici: non bisogna ascoltarli, spesso sono persone che non ce l’hanno fatta. I giovani però devono comprendere, anzitutto, se sono dei veri artisti. Vedo tanti che si iscrivono ad Accademie, seguono corsi di pittura, imparano la tecnica: è tutto giusto ma anche tutto inutile se non hai l’inquietudine che ti porta a sacrificare la vita per l’arte. Un vero artista deve avere il fuoco che gli brucia l’anima, deve essere logorato, lacerato dentro perché da quelle macerie costruisce sé stesso ed esprime l’arte».

Lei come si relaziona con il mercato?

«Malissimo. Oggi hanno prostituito tutto. Soprattutto hanno prostituito il cervello delle persone. Gli artisti e i mercanti si sono piegati a quella legge. Le leggi del mercato hanno stravolto l’arte. Il sentimento non interessa più a nessuno, né chi sei, né della tua vita. I mercanti si sono calati i pantaloni al denaro. A nessuno interessa più il mio dialogo con le nuvole, la connessione con il cielo. Questa mancanza di ascolto danneggia l’arte e danneggia Dio. La pittura è la mia religione e dove c’è sacralità non c’è spazio per il denaro».

Lei si avvicina ai novant’anni. Ha avuto una vita intensa e ricca di esperienze. È riuscito a capirlo, chi è?

«Sono un artista. Un creatore di mondi. Un uomo che ha avuto il privilegio di parlare con l’Universo, di essere capito dalle sue leggi che regolano la vita di tutti noi. Sono una persona che ha colto il messaggio del trascendente, un surrealista magico. Sono l’uomo che parla con le nuvole».

– Luigi Pretin

“La mia pittura è tutta un dialogo incessante con il cielo, io parlo con le nuvole, con l’aria, con tutto ciò che vive sopra di noi. Tengo sempre lo sguardo rivolto al cielo, sino ad arrivare all’Universo tutto. L’elemento che spesso si trova nei miei quadri sono loro, le nuvole. Mi hanno sempre accompagnato, compreso, reso partecipe della vita. Le nuvole, loro, mi hanno salvato la vita.”

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