Perseo e il silenzio degli eroi
Perseo vagava nell’Argolide.
Vagava perché era convinto che avrebbe trovato il suo sudore su un ulivo maturo, e dai suoi frutti avrebbe tratto l’olio che si sarebbe sparso su tutto il corpo.
Procedeva cavalcando Pegaso a briglie sciolte, libero di fendere l’aria e sentire l’eccitazione salire. Quando trovava l’ulivo adatto, legava il cavallo al tronco, raccoglieva un po’ di olive e le macinava in un piccolo mortaio. Poi si toglieva la veste. Raccoglieva il preparato unto e se lo spalmava con le dita sul petto, sulle braccia… Una volta che la sua pelle era divenuta luccicante, stendeva la veste sopra l’erba bagnata e ci si sdraiava sopra. Così Perseo si addormentava, e trascorreva il pomeriggio.
Si svegliava all’imbrunire del cielo. Era in ritardo, ma non si destava mai in lui alcun senso di fretta. Legava la veste al ventre, saltava sulla cavalcatura e ripercorreva la strada di casa. Trenta minuti dopo era alle porte di Micene, città di cui era re e fondatore. Veniva accolto con tutti gli onori, ma la cosa lo lasciava indifferente.
Quando entrava nel cortile reale, un paggio suonava la tromba con troppa forza e cadeva all’indietro: Perseo rideva di gusto. Lasciava poi Pegaso nella stalla e rientrava a palazzo. Trovava Andromeda impegnata ad aiutare i servi nelle preparazioni per il banchetto, un gesto che dimostrava la sua nobiltà d’animo.
Quando lei lo vedeva lasciava il coltello e le cipolle per gettargli le braccia al collo:
«Oh, nobile Perseo! I miei occhi brillano di gioia ogni volta che riflettono la tua immagine!»
«I miei versano lacrime quando sono catturati dalla tua bontà. Così forte d’animo, così nobile nello spirito, e umile nelle gesta».
«Chi ha la possibilità di vestire seta e portare perle al collo non può tirarsi indietro davanti al compito di tagliare due cipolle».
«Non dovresti iniziare a prepararti? Non manca molto al calare del sole».
«Non preoccuparti. Il tempo che ho a disposizione è sufficiente».
Perseo trascorreva la cena a parlare con i re delle poleis vicine. Non era mai stato nei suoi sogni trattare di confini, dispute territoriali, feste del raccolto, organizzazione dei commerci. Così, dopo aver riempito nuovamente il bicchiere di vino, lasciava la tavola e scendeva nel cortile, dove i musici suonavano melodie antiche.
E con le braccia, con le gambe, con il corpo, Perseo cercava di riprodurre il ritmo, tentava di inseguire le note, di far proprio lo spirito del tempo. Nell’estasi riusciva a scorgere Andromeda, anch’essa immersa nello stesso vortice. Si guardavano, ridevano, e…
Ed era sempre lo stesso giorno. Il vino smise di parlargli, la quiete tornò nella sua testa. Attorno a lui, la gente ballava, Andromeda ballava. Un giorno aveva pensato di non voler null’altro nella sua vita. Null’altro che lei.
Calò la notte, i due sposi si ritrovarono a letto, e si amarono come sempre.
Perseo uscì da Micene il mattino presto. Portava, in groppa a Pegaso, l’arco di Filestone e le frecce nella faretra. Era deciso ad abbattere almeno tre cinghiali, così cavalcò a lungo per raggiungere l’Arcadia.
Vide il primo sbucare da una roccia, e non sbagliò il colpo. Lo stesso accadde per il secondo e per il terzo. Ma scuoiando il terzo cinghiale, si rese conto che questi animali non gli offrivano più stimolo: come poteva trovare sfidante la caccia, lui che aveva ucciso la Medusa?
Quasi desiderò che fosse Medusa stessa a riemergere dalla boscaglia, con la sua testa sibilante e lo sguardo freddo come la morte. Ma non sarebbe mai sbucata, ed era meglio così.
Perseo lasciò la pelle dell’animale e avanzò a passi lenti. La luce solare filtrava dalle fronde dei pini, il vento muoveva l’erba. Si avvicinò a un corso d’acqua limpido. Non si riconosceva più. I ricordi delle sue imprese lo tormentavano. Cadde in ginocchio, il viso si specchiò nel ruscello. Le ciglia erano bagnate.
Pegaso emerse dalla radura con passo esitante. Perseo guardò il cavallo bianco stagliarsi contro il cielo, come una visione di gloria. Strinse allora l’arco, incoccò una freccia. Le lacrime gli solcavano le guance.
E lo colpì. Al centro della testa. Perseo si gettò a terra, piangendo e stringendo l’erba, fino a quando non fu vinto dalla stanchezza e si addormentò.
– Riccardo Russo
“Perseo uscì da Micene il mattino presto. Portava, in groppa a Pegaso, l’arco di Filestone e le frecce nella faretra. Era deciso ad abbattere almeno tre cinghiali, così cavalcò a lungo per raggiungere l’Arcadia. Vide il primo sbucare da una roccia, e non sbagliò il colpo. Lo stesso accadde per il secondo e per il terzo. Ma scuoiando il terzo cinghiale, si rese conto che questi animali non gli offrivano più stimolo: come poteva trovare sfidante la caccia, lui che aveva ucciso la Medusa?”