Intervista a Don Luigi Ciotti: “Senza cittadinanza non ci si può sentire pienamente accolti dalla comunità”

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Il B.Liver Domenico intervista Don Ciotti sui temi della cittadinanza e accoglienza, sfatando pregiudizi sull’immigrazione e denunciando le ingiustizie che ostacolano l’integrazione dei migranti.
Don Pio Luigi Ciotti (Pieve di Cadore, 10 settembre 1945). Presbitero e attivista italiano, ispiratore e fondatore dapprima del Gruppo Abele, come aiuto ai tossicodipendenti e altre varie dipendenze, quindi dell’associazione Libera.

Cittadinanza e accoglienza: intervista a Don Ciotti

Don Pio Luigi Ciotti, un presbitero e attivista italiano, ispiratore e fondatore dapprima del Gruppo Abele, come aiuto ai tossicodipendenti e altre varie dipendenze, quindi dell’associazione Libera contro i soprusi delle mafie in tutta Italia e nel mondo. Al Bullone racconta come coltivare l’accoglienza e la fiducia.

Il referendum cittadinanza riguarda persone che sono già in Italia da anni, vivono e studiano qui: perché molti legano cittadinanza e immigrazione?

«Perché purtroppo la comunicazione su questi temi è spesso distorta. L’immigrazione negli ultimi anni è stata il tema principale sul quale si è giocata una battaglia politica a colpi di semplificazioni e propaganda, in Italia e non solo. Sulle persone di origine straniera si sono scaricate ad arte paure e frustrazioni che avevano ben altra radice: l’impoverimento di molte famiglie come frutto delle disuguaglianze crescenti, l’erosione del welfare e dunque di quelle garanzie minime di tutela e benessere su cui si era costruito il patto sociale democratico. La precarietà del lavoro e delle condizioni abitative, o la difficoltà ad accedere alle cure sanitarie, non hanno nulla a che vedere con i fenomeni migratori: dipendono da precise scelte politiche fondate sull’illusione che la crescita economica, da sola, porti sviluppo. Quelle scelte hanno invece alimentato i privilegi delle classi ricche, a discapito dei diritti di tutti gli altri.

Per coprire questo fallimento, ecco il “capro espiatorio”: il migrante, cioè l’ultimo arrivato, il più povero fra i poveri. Dipinto come “diverso”, minaccioso, non integrabile. Non è vero, e chiunque abbia un minimo di spirito critico se ne accorge! Sono centinaia di migliaia le persone e famiglie migranti che con molti sforzi si sono costruite una vita onesta e dignitosa in Italia: studiando, lavorando, facendo impresa, pagando le tasse, partecipando alla vita culturale e al volontariato. Ed ecco il cortocircuito: persone che adempiono in tante forme ai doveri di cittadinanza, si vedono tagliate fuori dal diritto di diventare cittadini a pieno titolo».

Ci spiega quali diritti e doveri comporta l’attribuzione della cittadinanza italiana?

«Il dovere principale del cittadino è quello di essere fedele ai principi repubblicani, e dunque rispettare le leggi dello Stato, a partire dalla Costituzione. Ma attenzione: questo dovere ricade anche sui non-cittadini. Infatti, se una persona di origine straniera commette un reato viene sanzionata nello stesso modo di un italiano. C’è poi un dovere “di solidarietà” da intendersi in senso più ampio, come la disponibilità a fare la propria parte per la comunità nazionale a cui si appartiene: partecipare attivamente alla vita pubblica, mettersi in gioco nei momenti di difficoltà – pensiamo alla pandemia o ai disastri naturali – proteggere l’ambiente e le persone più deboli. Sarò tanto più pronto a esercitare questo dovere, quanto più mi sentirò accolto dalla comunità a cui appartengo. Ed ecco il vero nodo: senza cittadinanza non ci si può sentire pienamente accolti, perché si hanno meno diritti.

Il primo diritto negato è quello alla partecipazione politica: non posso eleggere né essere eletto nelle istituzioni democratiche, quindi non posso contribuire a orientare scelte che pure incidono tantissimo sulla mia vita quotidiana. Sono legati alla cittadinanza anche alcuni diritti di tipo sociale e sanitario, forme di previdenza e di assistenza. C’è inoltre il discorso della libertà di circolazione all’interno dell’Unione Europea, e di accesso al suo mercato del lavoro: solo i cittadini degli Stati membri hanno questa possibilità. Un altro risvolto importante è legato alla stabilità: la cittadinanza è permanente, mentre i documenti di soggiorno per le persone straniere vanno rinnovati di volta in volta, con procedure burocratiche spesso esose e faticose».

Ci aiuta a capire come è determinata la cittadinanza nel nostro diritto costituzionale?

«Oggi si è cittadini per nascita solo se almeno uno dei genitori ha la cittadinanza italiana. È una cittadinanza che potremmo definire “ereditaria”, e che in termini giuridici si chiama “jus sanguinis. Possono acquisire la cittadinanza anche le persone che risiedono nel nostro Paese da almeno dieci anni, purché dimostrino di non avere precedenti penali e disporre di un reddito sufficiente per mantenersi. Oppure si può chiedere la cittadinanza quando si sposa un cittadino o cittadina italiana. I giovani nati in Italia da genitori stranieri la possono avere – con un iter non semplice – al compimento della maggiore età.

Da tempo si discute di semplificare il sistema, e soprattutto di rendere automatica la cittadinanza, o perlomeno accelerarla, per i bimbi che nascono qui, a prescindere dalla nazionalità dei genitori. Ma la politica è frenata da interessi di parte e ha paura che una decisione di “buon-senso”, le faccia perdere “con-senso”. Ecco perché il referendum che si terrà fra poco è una grande occasione per chi già è cittadino, di tendere la mano a chi cittadino ancora non è, ma vorrebbe diventarlo. E dire: mi fido di te, so che puoi essere al mio fianco nella costruzione di un’Italia più libera, più giusta e più eguale!».

– Don Luigi Ciotti

Sulle persone di origine straniera si sono scaricate ad arte paure e frustrazioni che avevano ben altra radice: l’impoverimento di molte famiglie come frutto delle disuguaglianze crescenti, l’erosione del welfare e dunque di quelle garanzie minime di tutela e benessere su cui si era costruito il patto sociale democratico. La precarietà del lavoro e delle condizioni abitative, o la difficoltà ad accedere alle cure sanitarie, non hanno nulla a che vedere con i fenomeni migratori: dipendono da precise scelte politiche fondate sull’illusione che la crescita economica, da sola, porti sviluppo.

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