Cronache fantastiche: cosa dicono i senzatetto quando dialoghiamo con loro

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Olivia, giovane e appassionata di matematica, incontra un senzatetto che, davanti alla sua offerta di aiuto, reagisce con paura. Indagando, scopre un misterioso "male" che gli fa perdere il suo odore.
"«Hunger» abbozzò solo, quando lei si propose di cedergli del cibo, dal momento che depositarlo semplicemente lì per terra, senza neppure domandargli se e quanto ne volesse, e potendo persino invitarlo a scegliere tra diverse opzioni, eventualmente, in base alle sue preferenze, le sembrava molto poco carino. «Hunger» ripeté, ma stavolta con accento inglese, quando, verificando il contenuto dei sacchetti degli avanzi della chiusura, Olivia pesò l’ipotesi di lasciarglieli tutti, sforzandosi di capire se il gesto potesse erroneamente passare per un modo di sbarazzarsene". Immagine realizzata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.

L’odore che sparisce: il mistero di una fuga invisibile

Per una volta, era in orario. Non si era persa né a rincorrere canzoni di cui non conosceva per intero i testi ma che comunque si ostinava a cantare a squarciagola, mentre dava l’ultima passata ai pavimenti; né appresso a calcoli che in altre circostanze le sarebbe persino piaciuto fare, ma che invece, trattandosi di soldi, le imponevano una sicurezza di sé che non le apparteneva, neppure dopo svariate verifiche. Amava la matematica, gli indovinelli, le parole crociate, ma non il turno di chiusura del lunedì sera.

Quel lunedì lì, tuttavia, Olivia riuscì a chiudersi alle spalle la porta dello stabile che ospitava il bar in cui lavorava, alle venti in punto, come da casella Excel subito a destra di quella con su scritto il suo nome. Facendo un calcolo veloce – le piaceva, lo abbiamo detto – sottratti i tempi di preparazione della cena e tenuti invece in conto quelli di percorrenza del tragitto fino a casa e dell’uscita serale con Pino, il piccolo meticcio arruffato in mezzo del cammin di vita sua che la aspettava sul cuscino del letto, stimava di poter vedere un film della durata compresa tra i centodieci e i centoventicinque minuti circa, per non andare a dormire oltre l’orario limite delle ventitré e cinquanta. Veloce non tanto forse, ma preciso sì. Solo non sapeva che, a neanche seicento metri da quell’ormai celebre portone, avrebbe incontrato lui.

L’uomo se ne stava semisdraiato a terra, appoggiato al gradino di ingresso di un negozio chiuso. Le mani frugavano a tentoni, vista la scarsa luminosità della strada e il buio invernale vecchio almeno due ore, il contenuto eterogeneo di una grossa busta della spesa. Aveva già cenato? Cosa aveva o avrebbe mangiato? Era abbastanza? Da quando lo aveva scorto, prima dell’incrocio che li separava, non aveva avuto il tempo di farsi ulteriori domande che già lo aveva raggiunto.

Si calò sulle ginocchia per parlargli da vicino. Non che ci fossero lì intorno rumori tali da imporre una certa distanza per poter sentire altro, ma Olivia era una che le cose le voleva dette negli occhi, e sempre lì le chiedeva. E poi, di quell’uomo in particolare, anche se lei non poteva ancora saperlo, dicevano indubbiamente più loro che la voce.

«Hunger» abbozzò solo, quando lei si propose di cedergli del cibo, dal momento che depositarlo semplicemente lì per terra, senza neppure domandargli se e quanto ne volesse, e potendo persino invitarlo a scegliere tra diverse opzioni, eventualmente, in base alle sue preferenze, le sembrava molto poco carino. «Hunger» ripeté, ma stavolta con accento inglese, quando, verificando il contenuto dei sacchetti degli avanzi della chiusura, Olivia pesò l’ipotesi di lasciarglieli tutti, sforzandosi di capire se il gesto potesse erroneamente passare per un modo di sbarazzarsene. Ma la parola, in qualunque lingua la pronunciasse, non lasciava spazio a dubbi. Rinfilò allora di nuovo tutte le singole buste nella borsa di carta più grande, pronta ad avvicinargliela, e, mentre lo faceva, notò sì qualcosa che invece la lasciò perplessa: l’uomo aveva ritratto di scatto la gamba che teneva distesa.

Era stata paura? Era stata vergogna? Forse soggezione? Come prima di raggiungerlo, anche adesso che lo aveva superato, Olivia sentì la propria testa affollarsi di domande, magari meno consuete, di certo più aperte rispetto alle precedenti. Perché queste, sicuro, non avrebbe potuto porgliele. O no?

“Facendo un calcolo veloce – le piaceva, lo abbiamo detto – sottratti i tempi di preparazione della cena e tenuti invece in conto quelli di percorrenza del tragitto fino a casa e dell’uscita serale con Pino, il piccolo meticcio arruffato in mezzo del cammin di vita sua che la aspettava sul cuscino del letto, stimava di poter vedere un film della durata compresa tra i centodieci e i centoventicinque minuti circa, per non andare a dormire oltre l’orario limite delle ventitré e cinquanta”.
Immagine generata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.

Non vide nessun film, ma nemmeno l’episodio di una serie, un cortometraggio, un video su YouTube o due tre reel su Instagram: per tutta la sera non riuscì a pensare ad altro, e lo stesso valse per la nottata e l’intero giorno successivo. Finché, con rinvenuta fermezza, non prese una risoluzione: avrebbe ripetuto l’esperimento – che era brutto, è vero, definire in quei termini – ma davvero l’urgenza di spiegarsi quel gesto, che le dinamiche non le avevano dato modo di rappresentarsi come un caso, e che l’aveva oltremodo colpita, non le lasciava altra scelta se non quella di cercare una risposta. Perciò lo fece a suo modo, e perciò con rigore quasi scientifico. Cominciò dalla zona della stazione, che era la stessa in cui aveva incrociato quell’uomo, forse tedesco, forse inglese, forse nessuno dei due. Le sembrava di voler sapere anche quello. E il nome, soprattutto, perché di tutti Olivia chiedeva a ogni buona occasione il nome, persino dei cani o delle piante delle persone, se a queste le persone in questione usavano dargliene alcuno. Al momento, però, non era quello l’oggetto primario della sua puntigliosa indagine.

I primi dati raccolti le diedero ragione: erano troppi, tutti, per convincersi che erano tutti, appunto, casi, e lasciar quindi perdere la strana causa. Ogni senzatetto a cui si fosse avvicinata – uomo, donna, giovane, anziano, di giorno, di notte, di sera, in stazione, fuori da un supermercato o in qualsiasi altro luogo della città – aveva reagito allo stesso modo, e cioè aggiungendo spazio alla distanza, a prescindere da quanto lei – e comunque risultava probabilmente un comportamento un po’ insolito – l’avesse forzata, finché Olivia non prese ancora un’altra risoluzione, se possibile ancora più azzardata: un giorno, spazientita dall’inspiegata evidenza dei suoi risultati, volle andare in fondo alla sua impellente domanda, senza più limitarsi a giustificarne, incontro dopo incontro, l’origine. Senza giri di parole, né di auspicabili e assennati ripensamenti, rincorse un giovane clochard e il suo Pino, che però si chiamava Yaya, era una femmina e per fortuna – di Olivia – non aveva ancora raggiunto un’età tale da poter essere pericolosamente protettiva, fino alla palpebra di un vicolo cieco.

Quando si voltò, il ragazzo si ritrovò di fronte, a meno di una decina di metri da lui, un’Olivia in classica posa da portiere, come pronta a tutto pur di non lasciarselo scappare. Non capiva. Yaya, che ne capiva di certo ancor meno di lui, pensò bene di distrarsi appresso a una foglia, lei che poteva.

«Che vuoi da me, ragazzina?»

Ne avesse dimostrati molti più dei suoi quasi trenta, di anni, ci sarebbe più facilmente passata sopra. Così non era, ma si costrinse a passarci sopra lo stesso, perché le priorità erano decisamente altre.

«Come ti chiami?»

«E a te che importa?»

«A te che costa dirmelo?»

Nulla, in effetti. Ma che quella biondina bizzarra stesse riuscendo a far sembrare normale che lui le dicesse il suo nome, quando lei lo aveva praticamente rincorso per cinque minuti pieni nel bel mezzo di un freddo sabato pomeriggio, senza apparentemente, ancora, alcun motivo, gli sembrò assurdo.

«Ivan». «Io sono Olivia». Silenzio.

«Ti starai chiedendo perché ti ho seguito».

«Inseguito». «Perché ti ho inseguito».

Ancora silenzio. Olivia abbandonò la difesa della porta e scrollò le braccia, forse prendendo ispirazione da Yaya, che aveva fatto lo stesso con tutto il corpo più che un paio di volte da quando erano tutti e tre lì. «Tu perché scappi?»

Nonostante fosse già stato ampiamente spiazzato, Ivan non riuscì comunque a celare il rinnovato stupore. «Non lo immagini?» «Ci ho provato».

«E?» «E nessuna delle mie ipotesi mi è parsa esaustiva. Per questo ti ho inseguito».

«Mi hai inseguito per chiedermi perché scappo?»

«Può sembrare contorto, ma è così. Scappate tutti, e io voglio capire». «Scappiamo dal vostro male».

Yaya abbaiò, ormai impaziente.

«Che male?» chiese Olivia perplessa, forse anche un po’ contrariata.

«Non sappiamo se sia una malattia, ma per sicurezza non vogliamo esserne contagiati».

«Che male?» ripeté lei, più impaziente del cane.

«Ma non lo senti?»

«Cosa dannazione? Dimmelo e basta!»

«Non fate più odore». «Che vuol dire?»

«Questo vuol dire: che non avete più il vostro odore. Che se vi baciate o abbracciate tra voi non potete più respirarvi. Che i vostri cani, se vi assentaste per più tempo di quanto non facciate normalmente, avrebbero difficoltà a riconoscervi; e so che ne hai uno, li ho visti i peli sul maglione. Questo vuol dire».

Rimase come paralizzata. Ivan non ci pensò due volte e ne approfittò per svignarsela, passandole di lato ma a distanza, raso muro. Yaya lo seguì scodinzolando, senza nemmeno voltarsi a guardarla, come d’altronde non aveva mai fatto per tutto il tempo. Olivia, rimasta sola, d’istinto piegò la testa di lato per avvicinare il naso alla spalla. Ivan aveva ragione: non sentì niente. Era troppo spaventata e confusa per provare tristezza, eppure una lacrima le rigò il viso. Quella mattina, se ne ricordò in quel momento, non aveva messo il profumo.

– Federica Margherita Corpina

«Questo vuol dire: che non avete più il vostro odore. Che se vi baciate o abbracciate tra voi non potete più respirarvi. Che i vostri cani, se vi assentaste per più tempo di quanto non facciate normalmente, avrebbero difficoltà a riconoscervi; e so che ne hai uno, li ho visti i peli sul maglione. Questo vuol dire».

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