di Simona Negri, B.Liver
Paradosso: assurdità, contraddizione, controsenso, incoerenza, incongruenza, non senso.
Secondo la scuola di Palo Alto (Paul Watzlawick), il paradosso è «un’affermazione contraddittoria che deriva da una deduzione corretta da premesse apparentemente coerenti, ma in realtà sbagliate». Poi ci sono io, Simona, una cinquantenne che da almeno dieci anni ha tatuato il paradosso come massima periodica, sono da sempre una soccorritrice di protocolli, regole, procedure, l’olimpo dell’emergenza, la «fighezza» di saper cosa fare, sempre preparata, pronta a fare qualcosa per il prossimo (volevo fare la differenza io).
Ballavo sul mondo e il tempo non mi bastava mai, ma il brivido da pronto soccorso è stato anche il bivio della mia vita. Da un dolore banale a una prima diagnosi sbagliata, al cancro… È stato un attimo un terribile, attimo paradossalmente eterno, dove avrei voluto rimanere più a lungo possibile per non affrontare la mia battaglia.
Avrei voluto un protocollo con scritto cosa dire e fare, ero troppo spaventata per accorgermi che non ero più io a decidere, ero la soccorsa, ero il corpo esposto… erano le loro mani sul mio corpo, su quella ferita.
“Ballavo sul mondo e il tempo non mi bastava mai, ma il brivido da pronto soccorso è stato anche il bivio della mia vita. Da un dolore banale a una prima diagnosi sbagliata, al cancro…”
– Simona Negri
Ho odiato e amato ognuna delle persone che mi ha salvato la vita perché semplicemente va così. E mentre mi sentivo come in una puntata di Grey’s anatomy, l’ospedale era il posto più sicuro al mondo. Il posto che a tutti fa paura per me era un rifugio, ma questo l’ho scoperto dopo le dimissioni.
«Bella Simo! Sei a casa!».
Sì, dentro di te pensi di aver superato una prova enorme, sei a casa tra le tue cose, con le tue persone, la tua cagnolina che ti guarda e ti annusa perché «puzzi» di ospedale, ma qui e subito mi accorgo che sono nella terra di mezzo: «vorrei ma non posso» diventa una parola d’ordine, non posso sedermi sul divano senza sembrare una balena arenata, vorrei un bicchiere d’acqua ma non riesco a prenderlo perché mi tirano i punti, vorrei camminare ma non posso perché la gamba sembra di piombo e io che masticavo chilometri non riesco neanche a fare dieci passi.
Mentre logisticamente cerchi di capire come sopravvivere all’interno della tua casa, il mondo fuori scorre e tu ti devi ricollocare, devi presentarti al mondo nella tua nuova veste.
«Invalida civile», in questa veste tutto galleggia nell’ assurdità di una società che ha un insieme di regole e prassi molto articolate collegate tra loro da rispettare tassativamente, ma non ti dà i mezzi per provvedere in autonomia.
“«Invalida civile», in questa veste tutto galleggia nell’ assurdità di una società che ha un insieme di regole e prassi molto articolate collegate tra loro da rispettare tassativamente, ma non ti dà i mezzi per provvedere in autonomia.”
– Simona Negri
Nel mio caso, cancro e disoccupazione sono andati di pari passo: iscriversi al collocamento mirato è come chiedere udienza a Sua Santità, telefonate, mail, scongiuri alla buona sorte.
La vita dopo la malattia, nel mio caso, è tutta un assurdo flipper dove sei disabile ma non troppo, ti devi curare ma non puoi, una vita fatta di disagi, lotte continue per far valere i propri diritti, per urlare la propria condizione, anche se hai fatto di tutto per pesare meno su chi ti circonda.
Sono una disabile invisibile, classificata e umiliata in una società che si riempie la bocca di parole come «inclusione sociale», ma di fatto non mi permette di correre verso il mio tempo con dignità.
“una società che si riempie la bocca di parole come «inclusione sociale», ma di fatto non mi permette di correre verso il mio tempo con dignità.“
– Simona Negri
Ci sono medici strepitosi, eccellenze della medicina e chirurgia che fanno di tutto per farti vivere, il resto non dovrebbe essere interrotto dalla società.