Casa mia: ritrovare la casa tra ricordi e nuovi inizi
Perché da grandi è così difficile dare (darsi) risposte, a domande semplici?
Nella semplicità si nasconde la complessità, così i pensieri si aggrovigliano e le risposte si complicano.
Da bambini è tutto così immediato, semplice, ma unico. Non serve pensare troppo per poter dare una riposta, le parole fluiscono senza doversi preoccupare di ciò che è importante dire. Che bello essere piccoli.
Se da bambina mi avessero chiesto «cosa è per te casa?» non avrei esitato, come mio solito, a prendere dei pastelli, un foglio bianco e iniziare a tracciare lì la risposta.
Sarei partita disegnando i contorni: una casa, grande ma non troppo, con tante finestre e balconi per fare entrare tanta luce. Fuori un prato verde con fiori, come piacciono a mia mamma, un cielo azzurro, sempre, con un sole timido che si nasconde all’angolo del foglio sorridendo.
Nel prato verde la cosa più importante: tante persone che si tengono per mano. «Omini» disegnati male, ma con un grande sorriso: ci siamo la mia famiglia, io, i miei nonni, qualche amico immaginario, i gatti. Al centro, un tavolo grande con le tagliatelle della nonna e le sue vrasciuoli in dialetto calabrese, polpette in italiano, di sicuro è sempre domenica.
Così semplice, genuino.

Immagine realizzata con sistema di intelligenza artificiale Bing Image Creator.
Quel disegno l’ho conservato in un cassetto: negli anni è stato coperto da altre cose, e nel tempo il mio disegno ha iniziato a ingiallirsi ai bordi, facendo scomparire un po’ il tratto della matita e l’intensità dei colori.
L’ ho dimenticato piano piano, così come ho dimenticato come rispondere a quella domanda.
Per tanto tempo ho pensato che la razionalità dovesse sovrastare il resto, anche il ricordo dei giorni felici.
Casa era il luogo in cui ogni giorno mi ritrovo a stare, quelle mura che mi facevano sentire al sicuro e protetta dal resto del mondo, casa erano i miei pensieri che mi dicevano che ero sbagliata, casa era la solitudine.
Così la mura del disegno iniziano sgretolarsi, intorno a me solo macerie e un muro di pietre tanto alto fatto di parole dure, pronunciate da me contro me stessa. In piedi solo una porticina da cui osservavo il resto del mondo.
Ciò di cui non mi ero accorta è che quella porta era aperta, non chiusa. Entrava ancora uno spiraglio di luce che mi scaldava, mi incoraggiava ad uscire e a sentire il calore del sole sulla mia pelle, a provare la sensazione di poter seguire per una volta non la mia testa, ma ciò che il mio cuore diceva.
Con insicurezza ho iniziato ad affacciarmi, a osservare, esplorare e compiere i primi passi, come da piccola, facendomi tenere per mano.
E piano piano ho lasciato alle spalle le macerie che mi avevano circondato, con un po’ di nostalgia, ma con la voglia di perdermi per poi ritrovarmi in nuovi posti, in nuove case.
Sono partita da sola, ho preso un treno e sono andata a Firenze a trovare chi da quelle macerie mi stava aiutando a risollevarmi, un mio amico.
Che bello perdersi per le strade, osservare chi non conosci, osservare quanta bellezza esiste nelle opere d’arte, nella natura, nella quotidianità della vita.
Ma la cosa più bella è stata non avere come compagnia quei pensieri che associavo alla mia casa, e rendermi conto che forse le sensazioni che vivevo in quel momento erano veramente il mio posto sicuro.
Per la prima volta, dopo tanto, ho poggiato un mattoncino per ricostruire.
Negli anni la mia casa l’ho ritrovata, ricostruita lasciando mattoncini in giro così come mi piace. Ho iniziato a disegnare su quel foglio con colori più luminosi: ora la mia casa non è piena di finestre ma di idee, ideali, momenti, fotografie, ricordi, persone.
La mia casa è ovunque io mi senta me stessa, senza la necessità di autogiudicarmi.
Sono a casa quando nuoto nel mare della mia meravigliosa Calabria;
sono a casa nei tramonti che si vedono dal finestrino di un aereo;
sono a casa in una canzone, in un libro.
Sono a casa ora mentre scrivo e ricordo che casa l’ho trovata un anno fa incontrando, proprio a casa mia, il Bullone.
– Giusy Scoppetta
“Nel prato verde la cosa più importante: tante persone che si tengono per mano. «Omini» disegnati male, ma con un grande sorriso: ci siamo la mia famiglia, io, i miei nonni, qualche amico immaginario, i gatti. Al centro, un tavolo grande con le tagliatelle della nonna e le sue vrasciuoli in dialetto calabrese, polpette in italiano, di sicuro è sempre domenica.”