Liberiamoci dai fantasmi: dare un nome alla malattia per riscoprirci umani
Liberiamoci dai fantasmi.
Cominciamo a nominarli, i nostri fantasmi: uno dopo l’altro, per sottrarli all’oblio di giorni senza ritorni, come se la malattia decretasse la morte sociale di una persona: quasi che lo scandalo della sofferenza diventi un marchio di infamia, se non addirittura una colpa di cui vergognarsi, da nascondere alla vista delle persone «normali».
Allora nominiamola, questa malattia, senza dimenticare il nome di chi la porta sulla propria pelle nel percorso di elaborazione e accettazione di un cambiamento che ridefinisce la percezione di sé. Essere improvvisamente diverso ma restare fedele a sé stesso: com’è difficile imparare a riconoscersi in una nuova dimensione in cui la malattia diventa parte della propria identità senza sovrastarla con la crudezza del suo nome.

Nella disperata ricerca di un senso superiore, persino Dio rischia di diventare un fantasma, finendo per ricacciare ogni significato in un mistero. E se invece dessimo un nome a questo bisogno di comprensione, e lo cercassimo nelle persone che ci stanno accanto? Diamogli il nome di compassione, a questo sentimento così umano che unisce nelle differenze e affratella nelle comuni fragilità: ricominciamo da questa parola, liberi dai fantasmi della paura, dell’indifferenza, dell’ipocrisia, perché la malattia non ha vincitori né colpevoli.
Guardiamo in faccia alla vita e nominiamole a piena voce, le persone con cui condividere questa esperienza di giorni decimati dal dolore che in fin dei conti è l’esistenza umana, sempre pronti a stupirsi davanti ai piccoli miracoli dell’amore.
– Sebastiano Mondadori
” E se invece dessimo un nome a questo bisogno di comprensione, e lo cercassimo nelle persone che ci stanno accanto? Diamogli il nome di compassione, a questo sentimento così umano che unisce nelle differenze e affratella nelle comuni fragilità“