Quando dire di no diventa un atto d’amore verso se stessi
«No», una parola apparentemente banale, un semplice morfema, un insignificante accostamento di due lettere che sfugge in modo breve e deciso da un impercettibile movimento della lingua. Eppure, può davvero fare la differenza? Può cambiare il corso di una vita? Può rivelarsi più incisivo di un discorso elaborato, rendendo ogni altra parola superflua? La risposta è sì.
Un no è capace di molte cose: può essere una rivoluzione silenziosa, una crepa in un muro di convenzioni, un’arma dall’affilatura grezza in grado di spezzare i vincoli delle imposizioni sociali. Può segnare la fine di una prigionia emotiva, il primo respiro dopo anni di apnea. Può rappresentare il rifiuto di un destino prestabilito, di una vita che non ci appartiene. Eppure, per quanto queste due lettere racchiudano un significato così profondo e sovversivo, pronunciarle è un atto di straordinario coraggio. Dire di no spaventa più di un sì, anche quando quel sì è l’ultima cosa che vorremmo dire. Questo perché il consenso è rassicurante, scivola via con la stessa facilità di un rifiuto, ma non implica un vero sforzo, almeno nell’immediato. Solo dopo, col tempo, ci accorgiamo di quanto possa risultare soffocante. Ed è lì che affiora il rimorso, quello che invece non ci tormenta dopo un no, quando scegliamo di dare priorità a noi stessi.
Eppure, quante volte abbiamo pronunciato un sì per timore o per senso di colpa? Quante volte abbiamo accettato situazioni scomode per paura di essere giudicati? Io, personalmente, troppe. Per anni ho sacrificato i miei bisogni, ho soffocato la mia voce pur di non essere etichettata come egoista, poco disponibile, o ingrata. Ma se oggi scrivo di questo non lo faccio per ipocrita opportunismo, bensì perché ho imparato, a caro prezzo il valore della negazione. Ho compreso che dire no alle nostre paure significa accettare che il dolore del cambiamento è preferibile alla sicurezza della prigionia. Non ci hanno forse insegnato che il rifiuto è una chiusura, che dire no è un atto di egoismo? Ma la verità è un’altra: il no è la più alta forma di rispetto verso noi stessi e i nostri desideri. Non è sempre una porta sbattuta in faccia, a volte è semplicemente un confine che protegge ciò che abbiamo di più sacro: la nostra identità. Perché non è sempre il sì a condurre alla felicità, spesso è proprio un no a salvarci, a preservarci, a ricordarci chi siamo e cosa meritiamo.
Anche se può essere accolto con sorpresa o indignazione, perché spesso infrange aspettative, richieste o compromessi. Ma, nonostante questa consapevolezza, io in primis ammetto che non è stato facile imparare a dire no. In una società che valorizza la conformità e l’adattabilità, il rifiuto viene spesso interpretato come un segnale di ribellione o, peggio, di egoismo. Un no può incrinare rapporti, deludere aspettative, suscitare reazioni inaspettate. Ma è proprio in questo che risiede la sua forza: è una dichiarazione di autonomia, un’affermazione di volontà che traccia confini e stabilisce priorità. Accettare tutto per timore di contraddire gli altri può sembrare la via più semplice, ma nel lungo termine diventa un peso assai opprimente. Dire sì quando si vorrebbe dire no significa, in fondo, negare a sé stessi la possibilità di scegliere. Ed è proprio la capacità di scegliere, senza costrizioni o sensi di colpa, a definire la nostra libertà.
Non è sempre il sì a costruire, così come non è sempre il no a distruggere. A volte, è proprio il contrario: ci sono sì che consumano e no che salvano. E forse, in un mondo che ci insegna ad accontentare, imparare a rifiutare è una delle più grandi forme di consapevolezza che possiamo raggiungere. Ma non sempre è facile. Ci saranno sempre persone che lo prenderanno come un affronto, che lo interpreteranno come una dichiarazione di guerra. Ma se c’è una cosa che possiamo comprendere è che, chi ci tiene davvero, non sarà ferito da un no, e che chi invece lo è, probabilmente non ha mai avuto a cuore il benessere dell’altro, ma solo la sua compiacenza.
Perché alla fine ciò che conta davvero non è il numero di persone che ci approvano, ma il rispetto che abbiamo per noi stessi. E se per ottenerlo serve dire qualche no in più, allora è un prezzo che vale la pena pagare.
– Amy El Kamli
“Ma se oggi scrivo di questo non lo faccio per ipocrita opportunismo, bensì perché ho imparato, a caro prezzo il valore della negazione. Ho compreso che dire no alle nostre paure significa accettare che il dolore del cambiamento è preferibile alla sicurezza della prigionia. Non ci hanno forse insegnato che il rifiuto è una chiusura, che dire no è un atto di egoismo? Ma la verità è un’altra: il no è la più alta forma di rispetto verso noi stessi e i nostri desideri.“