Barbasophia: “Solo chi è disposto a morire può produrre significati”
Matteo Saudino, in arte Barbasophia, è professore, scrittore e youtuber. Insegna Storia e Filosofia al liceo Gioberti di Torino. Offre visioni moderne rispetto a entrambe le materie. Racconta nuove possibilità, rispetto alla fragilità e come l’uomo ora ne sia spaventato.
La filosofia non è solo comprensione del mondo, ma può esserne anche soluzione. Concretamente, la filosofia come può offrire queste soluzioni?
«La filosofia ci aiuta a comprendere il mondo e tutte le sue complessità. Di conseguenza, poi porta a saperci comportare, ad agire, prendere delle decisioni. Compiere delle scelte è uno dei grandi drammi dell’essere umano: parlo della libertà di scelta. Questa ci paralizza, porta inquietudine, ci disturba. La filosofia ci aiuta, invece, ad avere una maggior comprensione della realtà e della complessità stessa e, a quel punto, scegliere è sempre complesso, ma lo è di meno. Si hanno più strumenti per poter prendere delle decisioni. Essa è utile nelle questioni politiche ed etiche, ma anche per quelle scientifiche: banalmente comprendere che la scienza non è neutra, ma è in divenire, è aperta, ci porta ad assumere degli atteggiamenti non fideistici. Aiuta a comprendere dei problemi: sono convinto che sia utile perché ci permette di costruire una mente che può operare, ci permette di “attraversare il mondo” nella complessità, con più consapevolezza. Per me la filosofia è teoria e prassi insieme».
In Anime Fragili dedica un intero capitolo alla solitudine, definendola prima fragilità. Che valore riveste nella vita di tutti i giorni e in che modo l’uomo può approcciarvisi? Che ruolo assume, nel mondo occidentale moderno?
«Il problema è che la solitudine in cui viviamo è drammatica, non è cercata, non è figlia di una consapevolezza, non è nietzschiana; parlo qui di quella solitudine dove, ad un certo punto, si sceglie di uccidere Dio e le divinità e poi di sprofondare negli abissi, per ricercare il vero. Qui è subita, fatta di due processi: l’atomizzazione del mondo (mondo di persone sole in ogni contesto: al lavoro, nella città, nel quartiere, a scuola), figlia del “chi fa da sé fa per tre”, si tratta del frutto dell’esaltazione dell’individuo e dell’individualismo; il secondo aspetto fa riferimento alla mercificazione, tutto è in vendita, tutto è comprabile, è merce. La solitudine delle merci è la solitudine dell’individuo. Le merci sono lì, sole in un supermercato: pacchetti di biscotti, di pasta, di bibite, però uno è separato dall’altro. Sono lì, una accanto all’altra, ma vengono poi prese una alla volta e sono indifferenti le une alle altre. La mercificazione del mondo porta con sé questa solitudine: non si vale in relazione all’altro, ma nel consumo. Le uniche relazioni sono quelle di utilizzo: valiamo se serviamo all’altro. Quella di oggi è una solitudine depressiva, angosciante, che paralizza. Ci relazioniamo, stando quasi tutto il giorno collegati, ma lo facciamo in un mondo atomistico: si tratta di relazioni deboli e precarie, connesse alla seconda solitudine, la mancanza di dialogo. Viviamo tutto in modo individuale, ogni comunità è vissuta come un aggregato di individui e questa si scioglie».
In tutto questo, l’uomo non riesce o non vuole più ascoltare chi ha accanto?
«È un misto, non riesce perché non è più abituato. Per ascoltare serve esercizio, serve dare valore all’altro. Allo stesso tempo, non riuscendo, viene meno anche il desiderio dell’ascolto e arriva a percepire la solidarietà come un mondo di perdenti, di incapaci e falliti».
In che modo Platone e Aristotele possono guidarci nella fragilità? Conoscevano la vulnerabilità moderna?
«Ho pensato che per affrontare le paure dell’Occidente si potesse dialogare direttamente con i padri fondatori, ovvero Aristotele e Platone, i quali avendo dei sistemi orientativi totali e avendo risposte su tutto, sull’essere, sulla metafisica, sull’etica, sulla politica, sull’arte, potessero offrire nuove possibilità. Volevano andare a risolvere la fragilità, quasi ad eliminarla. Il consiglio che viene chiesto loro non è totalizzante, perché oggi è impossibile avere delle risposte per tutto. Fragilità per fragilità, loro sono buoni consiglieri sulla tecnica, sulla politica, anche rispetto alla morte. Sono consiglieri più moderati, meno tracotanti, ma possono essere delle buone guide. Conoscevano la fragilità e questo li ha portati ad elaborare dei sistemi che contemplano la fragilità per poi superarla e andare oltre».

Quali sono le più grandi fragilità dell’uomo di oggi?
«La più grande fragilità dell’uomo oggi è la rimozione della morte, la paura di essa. Rispetto al mondo greco, noi l’abbiamo espulsa, il Cristianesimo l’ha rimossa parlando di Resurrezione. Espellendo la morte, non siamo più capaci di vivere. Vivere vuol dire affrontare la morte, rispettarla, farci i conti ogni giorno. Noi invece la esorcizziamo e la respingiamo in qualunque modo, attraverso l’eterna bellezza e il denaro, giurando amore eterno alle persone. Noi non accettiamo il limite e non riuscendo in questo, non riusciamo a vivere pienamente».
«I mondi nascono e muoiono, si contaminano, si scontrano, a volte esplodono ed implodono, a volte cercano con tenacia, mista ad inconsapevolezza di protrarsi nei nuovi mondi che sorgono». Questa contaminazione ed esplosione può dar vita a un mondo diverso?
«I mondi nascono e muoiono di continuo. Quando vogliono resistere sono dannosi, ostacolano anche la ricerca di senso, la fioritura. Quando i mondi, con il loro morire, si aprono e accolgono l’altro mondo, si possono allora contaminare vicendevolmente e possono arricchirsi. Il problema è negare il divenire, rifiutandolo. La cosa migliore è accettare, aprendosi alla morte. Si tratta di passaggi di mondi: la morte è da considerarsi come passaggio».
La condizione umana, come dice Heidegger, è quella di essere gettati nel mondo fra due condizioni totalizzanti: la nascita e la morte, eventi che l’uomo deve comprendere; proprio qui risiede la bellezza e l’assurdità della vita. Come può l’uomo accettare tutto questo, senza rimanere schiacciato da una condizione o aggrappato a un’altra?
«Solo l’uomo che è disposto a morire, solo lui, con la sua progettazione e costruzione, con il suo essere faber, può produrre significati. Penso che un senso in sé e per sé non ce l’ha, è la grande drammaticità: devi svegliarti ogni mattina ed essere un produttore di senso; questa condizione di Dio limitato e finito, richiede impegno e coraggio, richiede anche un po’ di spregiudicatezza e fatica».
«Più siamo liberi in un mondo liquido e più siamo fragili», in che modo sono connesse libertà e fragilità?
«Abbiamo una libertà, per assurdo, quasi totale e questo ci porta ad avere le vertigini: non c’è il partito, il Presidente, la legione, Dio, non c’è il fine. Noi dobbiamo essere liberi nella fragilità. È questa l’unica strada: ogni scelta che compiamo è nostra e questa può anche essere rimessa in discussione, può non trovare continuità. È questa la bellezza del mondo in cui viviamo: la fragilità può essere l’opportunità, in quanto figlia di un venir meno di cose preimpostate. È una fragilità che dona inquietudini e bellezza, poiché la seconda componente non può esistere senza la prima. Si tratta di mettersi in gioco nella libertà e per farlo è indispensabile l’autoconsapevolezza che risiede nel riconoscimento della fragilità. Noi non riusciamo perché ci viene complicato prendere consapevolezza delle cose, vivendo in un mondo veloce e ritmato dove il vuoto avvolge in profondità».
«Il nichilismo è un demone che ha sconfitto l’essenza dell’Occidente», è possibile combatterlo?
«Come occidentali, siamo proiettati verso il futuro. L’uomo ha un problema di relazione con esso: non ci crede più, non esistono ideologie politiche di futuro. Il nichilismo ha tolto, in noi, quella proiezione futura. Spesso siamo portati a proiettarci, perché non riusciamo a vivere il presente, speriamo nel futuro perché abbiamo un oggi di miseria. Questa grande crisi ci costringe a vivere il presente. Si può iniziare, serve farlo non in maniera angosciata, ma con consapevolezza nel limite, nell’armonia, nella bellezza, gustandosi una relazione umana, facendo arte. Fare. È una speranza, la mia».
– Matteo Saudino
“La solitudine di oggi non è scelta, è subita.
Viviamo in un mondo che ci isola dietro la maschera dell’individualismo.
Ma solo ascoltando davvero l’altro possiamo ritrovare comunità.“